+39 345 37 41 840

ciao@francescafontanellapsicologo.com

+39 345 37 41 840

ciao@francescafontanellapsicologo.com

+39 345 37 41 840

ciao@francescafontanellapsicologo.com

+39 345 37 41 840

ciao@francescafontanellapsicologo.com

In questo periodo non hai voglia di fare niente? Be, è evidente dalla frase stessa che hai bisogno di fare qualcosa! Alla fine di questo articolo saprai come funziona la voglia di fare niente e, se vorrai, come trasformarla in brio e voglia di fare.

Premessa: la doppia negazione

La frase che fa da titolo all’articolo contiene una doppia negazione. Ciò significa che contiene due “non”: Non (primo non) ho voglia di fare niente (secondo non). Da un punto di vista formale, è come stessi dicendo che hai voglia di fare qualcosa, cioè che non hai voglia di fare quella cosa che si chiama “niente”, ma vorresti fare qualcos’altro.

francesca-fontanella-psicologo-dolore-fisico-quale-modo-usi-per-viverlo

Un po’ arzigogolato, ma molto sensato, no? Ebbene, quando ti capita di dirti che non hai voglia di fare niente, in realtà considera che c’è, sicuro, qualcosa che vorresti fare.

“Non ho voglia di fare niente” è una protesta

Nel momento in cui stai pronunciando questa frase, anche se ti potrebbe apparire come una lamentela lagnosa, in realtà è una protesta. Stai comunicando, a te stesso/a e agli altri, che non ti va bene quello che sta accadendo e che hai bisogno di qualcosa, anche se potresti non avere chiaro cosa. La protesta è, in parte, una richiesta di aiuto e potrebbe capitarti che gli altri la colgano esattamente come tale, iniziando a suggerirti ipotetiche attività, per lo più che non ti soddisfano. È successo, vero?

Un modo per iniziare a capirci qualcosa e fare chiarezza è sostituire quel “niente” della frase con qualcos’altro.

Cosa vuoi al posto di “niente”?

Puoi chiederti: “Dato che non ho voglia del “niente”, cosa voglio al suo posto?” Come dire, se non vuoi il niente, cosa potresti metterci al suo posto? Bada che alcune persone di fronte a questa domanda possono pensare di non avere risposta e rinunciare, ma tu non mollare! Cerca la risposta: c’è!

E se, proprio proprio, non ti viene in mente, puoi prendere in prestito una di queste due risposte passe-partout.

Risposta passe-partout #1: Bisogno di riposo

Una possibilità è sostituire il “niente” con il riposo. Potresti avere bisogno di non fare e fermarti, di prenderti una pausa, di dormire o fare qualcosa di rilassante. In questo caso, la sensazione di non avere voglia di fare niente dipende dalla stanchezza e dalla voglia di riposo.

Risposta passe-partout #2: Bisogno di stimoli

francesca-fontanella-psicologo-remembering-e-club-di-vita-ruoli-connessioni-relazioni

Un’altra possibilità è sostituire il “niente” con qualcosa di stimolante, piacevole, divertente. Potresti avere bisogno di vivacità, brio, risate oppure di creatività, novità, sorpresa. In questo caso, la sensazione di non avere voglia di fare niente dipende dalla noia e dalla voglia di stimoli.

Quando ti pare non ti piaccia niente…

Qualche volta, alla mancanza di voglia di fare si associa la mancanza di interesse e di piacere per cose che, di solito, ti piacciono. Di nuovo, puoi considerare la frase nel modo che hai appena appreso seguendo il principio già descritto. “Non mi piace niente” è una frase con doppia negazione e indica che, in realtà, hai bisogno ti piaccia qualcosa e vuoi trovare quel qualcosa che sostituisca il “niente”. Questo bisogno deve essere molto importante per te perché attraverso la frase “Non mi piace niente” stai protestando e chiedendo un cambiamento.

Possibili cause di apatia e anedonia

Non avere voglia e non provare interesse in gergo si chiamano apatia e anedonia e possono associarsi anche ad abulia (che è una sorta di mancanza di motivazione e intenzione che porta a non saper decidere e a restare inerti).

Fermo restando che vanno considerate eventuali cause organiche, ormonali o legate all’assunzione di farmaci, si possono rintracciare cause anche nella storia e nelle esperienze della persona. Ad esempio, una persona che ha imparato a ricercare la perfezione, può trovarsi sotto pressione e avere bisogno di riposo; una persona che vive compiacendo gli altri potrebbe sentire una sorta di vuoto nella sua vita perché non c’è spazio per quello che le interessa davvero e avere bisogno di stimoli. Chi si sforza, chi tiene duro, chi pensa di non avere valore, di non poter essere se stesso/a vive ripercussioni simili. Le cause, quindi, non sono univoche e vanno esplorate con cura.

Rischi e conseguenze del “niente”

Potresti decidere di lasciar perdere e non interessarti ad aiutarti attraverso questi piccoli esercizi, tuttavia è bene tu sappia che corri un rischio. La noia e la stanchezza sono segnali di stati dell’organismo che, non considerati, possono peggiorare e trasformarsi piano piano in depressione o in stress (distress, disturbi d’ansia e patologie da stress).

Sai già che la soluzione sta in un aiuto psicologico. In particolare se ti sembra che da solo/a non riesci a produrre il cambiamento che ti serve o se ti pare di non avere voglia nemmeno più di provare a cambiare. In tal caso il mio non è un invito, ma una prescrizione: scegli lo psicologo che senti più adatto a te e prendi appuntamento. Ora.

Uno su due. Una su due persone che vengono in studio mi racconta che qualcuno le ha detto: ” È solo stress!”. Sintomi fisici debilitanti, emozioni che si fanno invivibili, disagi relazionali e professionali, calo del tono dell’umore, sono stati liquidati in questo modo.

Il problema non è lo stress

Il problema, nel dire che si tratta di solo stress, non sta nello stress. Il problema è che venga associato a quell’avverbio, solo, che significa solamente. Solamente stress?? Chi ha avuto il vezzo iniziale di associare queste due parole nella stessa frase probabilmente non aveva ben chiaro cosa sia lo stress e cosa possa combinare. Non è solamente stress, è stress. E stress della peggior specie, se ti fa avere sintomi fisici o psicologici. Tant’è che è chiamato distress, lo stress cattivo, al contrario dell’eustress che, in soldoni, sarebbe quello buono. Come per il colesterolo.

Come si scoprì lo stress.

La storia è nota: Selye, durante una ricerca in laboratorio con dei malcapitati topolini, notò che i suoi topolini, a differenza di quelli del suo collega, manifestavano tutta una serie di sintomi fisici e comportamentali di disagio. Qual era la variabile, dato che entrambi stavano lavorando allo stesso esperimento? Ebbene, Selye – un poco pasticcione – faceva cadere i topolini mentre li spostava e maneggiava, provocando loro, di conseguenza, tensioni continuative. Queste tensioni continuative, di tipo fortemente negativo – cadere dall’altezza di un uomo, per un topolino, deve essere spaventoso! – produssero sintomi che, a quel punto, stimolarono i ricercatori a capirne di più.

Come funziona lo stress

Dagli studi emerse che quando un organismo è sottoposto a tensioni e pressioni (stress, in inglese) passa attraverso tre fasi:

Fase 1: Allarme

In questa fase l’organismo registra il disagio e si premura di stare attento e di monitorare ciò che accade. L’organismo percepisce, a livello consapevole o inconsapevole, un fattore di stress cioè un vento che ritiene inaspettato o insolito e lo codifica come difficoltà o possibile pericolo.

Il fattore di stress può essere di natura psicologica (una preoccupazione o una litigata, per esempio), fisica (un incidente, una caduta, un fenomeno ambientale avverso come un terremoto…) o biologica (infezioni, malattie, intossicazioni…).

Fase 2: Resistenza o Adattamento

Questa fase può essere più o meno lunga ed è la fase in cui, persistendo lo stress, l’organismo si adatta alla situazione avversa e resiste. Molte persone restano imprigionate in questa fase. Un segnale per capire se capita anche a te è che fatichi a rilassarti, anche quando sei in un momento di pace e riposo.

Fase 3: Esaurimento

Quando il fattore di stress è superato o quando l’organismo sente di non avere più energie per resistere, si scivola nella terza fase che, fisiologicamente, dovrebbe garantire il recupero. Tuttavia, quando la fase precedente è durata molto e l’organismo non ha energie, questa terza fase può protrarsi molto a lungo.

La componente biochimica

Ogni fase appena descritta è accompagnata da movimenti ormonali che coinvolgono il cosiddetto asse ipotalamo-ipofisi-surrene. In particolare, viene prodotto il cortisolo, l’ormone dello stress, responsabile ad esempio di insonnia, aumento di peso, iperglicemia, stanchezza, alterazioni del tono dell’umore e, in particolare, l’alterazione delle difese e del sistema immunitario.

La componente sociale

No, non è solo stress perché oggi è diventato abituale tenere duro e resistere a ritmi serrati. Inoltre, i messaggi mediatici allarmanti portano le persone a temere scenari catastrofici, a vivere quotidianamente con l’ansia che qualcosa di negativo possa accadere a loro, ai loro cari, all’essere umano. Ne consegue che si sta sviluppando il cosiddetto stress cronico. Noti da te che conseguenze dannose tutto questo può avere sulla salute.

Se ti senti sotto pressione e ti pare di non riuscire a fare le tue cose quotidiane, se hai un sintomo fisico che hai già controllato con il medico e non va via, se l’umore cala, l’ansia aumenta e ti pare che tutto vada a rotoli… bè, il distress è probabilmente entrato nella tua vita.

Prevenzione e recupero

Prevenzione e recupero sono importanti. Entrambi parlano da sé: la prevenzione aiuta a non finire nel trappolone del distress, il recupero aiuta a uscirne quando ci si è già scivolati.

Per la prevenzione, sono buono tutti i modi che tu ritieni utili per ridurre lo stress; sport, hobbies, natura, meditazione… Valuta le tecniche di rilassamento che, una volta acquisite, ti accompagnano per tutta la vita, nel quotidiano e nelle situazioni più cariche. Valuta, anche, un percorso di crescita personale che ti rende più capace di fronte alo stress.

Per il recupero da distress… i tasselli da rimettere a posto sono variegati e, in tal caso, l’aiuto psicologico è a mio avviso indispensabile. Psicologico, perché la reazione al distress ha ripercussioni sulla tua vita, sulla tua salute e sulle tue relazioni e, forse non ci hai mai pensato, legami stretti con la tua storia.

Appena hai letto “ipnosi” hai fatto un’espressione di disappunto? Forse hai visualizzato qualche personaggio tv intento a mostrare braccia che levitano o persone che eseguono istruzioni assurde e poco dignitose. L’ipnosi non è questo, posso rassicurarti!

Cosa si intende per ipnosi clinica

L’ipnosi clinica è un insieme di metodi che sfrutta la naturale tendenza dell’organismo a rilassarsi, concentrarsi in modo focalizzato e portare l’attenzione dal mondo esterno a se stessi (emozioni, sensazioni, pensieri). Ne consegue che non vi è alcuna magia o stranezza, ma vengono usate le capacità umane di auto-indursi un rilassamento profondo.

Ansia e rilassamento

Da tempo è nota l’utilità di conoscere tecniche di rilassamento per prevenire, ridurre, allontanare e vivere i picchi d’ansia. Tra esse, elitario è il Training Autogeno.

Da qualche tempo è nota anche l’utilità della meditazione per prevenire, ridurre, allontanare e vivere i picchi d’ansia. Tra esse, va per la maggiore la mindfulness.

L’ipnosi come alternativa

L’ipnosi si posiziona in questa top three e, forse, al primo posto. Si tratta di un’alternativa validissima ed efficace che porta con sé alcuni vantaggi:

  • Minor filtro cognitivo rispetto al Training Autogeno
  • Minor tempo da dedicare all’apprendimento rispetto alla mindfulness
  • Possibilità di utilizzo “al bisogno”, in modo rapido, fin dalle prime pratiche
  • Nessun protocollo da acquisire

Ansia e ipnosi

L’ipnosi clinica ti mette in contatto con la possibilità di spegnere il pulsante di accensione dei picchi d’ansia. Di conseguenza, ti insegna a distinguere tra l’ansia che può servirti e quella di troppo e ti fa spegnere l’interruttore emotivo quando l’ansia è troppa e poco utile e funzionale.

Dopo aver appreso come fare e quando farlo, potrai rapidamente, in qualsiasi momento, raggiungere il rilassamento ipnotico che ti solleva dall’ansia. Il bello è che puoi raggiungerlo se lo vuoi e quando lo vuoi, con un solo gesto.

E quando l’ansia è somatizzata?

Un’emozione è somatizzata di fatto, sempre. Con questa frase intendo dire che non esiste emozione scevra dalla sua manifestazione fisica, pertanto, quanto provi ansia, il tuo corpo ha sempre e comunque un qualche tipo di reazione e manifestazione fisica.

In alcuni casi, questa reazione si cronicizza o si traduce in un sintomo ripetuto, specifico, caratteristico: per alcuni il mal di stomaco, per altri la cefalea, per altri ancora il colon irritabile o le contratture muscolari.

Chiamiamo somatizzazioni questo tipo di reazioni fisiche, reali, connesse all’emozione. L’ipnosi riesce ad agganciare queste reazioni e a darti il potere di controllarle, modularle, farle sparire.

Si inizia così…

Si inizia con un incontro di rilassamento base che ha la funzione di aiutarci a capire se converrà procedere con il Training Autogeno, proporti un percorso di mindfulness – con un operatore esperto – oppure lavorare con il rilassamento profondo dell’ipnosi.

Faremo qualche esercizio che userà respirazione, rilassamento muscolare e immaginazione e ne uscirai piacevolmente rilassato/a e con più energia. Quindi, comunque sia, sarà un tempo dedicato a te ben usato.

…e si continua così!

Qualora valutassimo di continuare con il metodo di ipnosi clinica, ci vorranno circa altri cinque incontri, più il tuo impegno a casa, quotidiano, di 15 minuti al giorno al massimo. Registrerò dopo ogni incontro una guida vocale dedicata a te e alla tua situazione, la riceverai su whatsapp e la seguirai una volta al giorno, fino all’incontro successivo.

Via via, la guida vocale si farà più sintetica, per darti la possibilità di fare tuo il metodo senza dipendere dalla traccia vocale. Un grosso rischio di alcuni metodi, infatti, è creare una dipendenza dalla voce dell’operatore o dalle sue specifiche parole. Senza, diventeresti incapace di rilassarti: un disastro!

Dalla guida vocale, all’ancoraggio

Alla fine di questo percorso di apprendimento, la mia voce sarà sostituita da un gesto di ancoraggio che ti permetterà di raggiungere il rilassamento profondo ipnotico in autonomia, quando vuoi e solo se lo vuoi, in pochi secondi.

Ipnosi = Tu, alla plancia di comando

Il dettaglio essenziale e importante è che otterrai, finalmente, il controllo e il comando del tuo modo emotivo. Basta reazioni a casaccio, eccessive o imbarazzanti; basta reazioni passive o senso di inadeguatezza; basta percezione di subire le tue emozioni!

L’ipnosi non è la perdita di controllo, non ti mette in balia degli altri, ma è la possibilità di riprendere il controllo di sé. (A. Calderoni)

Informazioni aggiuntive?

Scrivi a ciao@francescafontanellapsicologo.com



Ecco la terza puntata dell’intensa intervista che Chiara Pedroni – campionessa italiana di danza paralimpica – ha regalato a te, a me e alla collega dott.ssa Simona Muzzetta. Hai letto la prima puntata su questo blog, la seconda sul blog della dott.ssa Muzzetta e oggi si ritorna qui, con la terza puntata. Chiara ci ha raccontato della malattia che ha invaso la sua vita, del dolore fisico, della sofferenza psichica, delle emozioni di rabbia e paura, di tutte le faticose visite mediche, gli interventi e le cure… Chiara soffre di endometriosi e questa subdola patologia le ha portato via l’uso delle gambe. Oggi l’intervista tocca un punto importante ossia…

Femminilità e sessualità

Chiara, l’endometriosi ha influenzato la tua femminilità e la sessualità?

Molto. Innanzitutto niente tacchi! Ahahaha, no per me non è una perdita cosi tanto insostenibile! Ci sono, però, occasioni in cui davvero, anche se non sono un’ amante sfegatata, mi piacerebbe poterli mettere ancora. L’endometriosi mi ha influenzata nella femminilità e nella sessualità, sì! Però minata no.

Credo che se avessi avuto il supporto di un uomo davvero innamorato di me, i miei picchi verso terra di autostima, il mio sentirmi tutto fuorché appetibile e sessualmente desiderabile, il mio vedermi brutta, ora troppo magra, ora troppo grassa, non piacermi ed esser convinta di non piacere si sarebbero potuti risolvere in un: “Sei bellissima amore mio, ti amo”. Minata no, però messa a dura prova si. Credo che la femminilità trovi mille modi per esprimersi, che possa stare in un battito di ciglia come nel modo di ancheggiare i fianchi camminando, nello spostarsi i capelli dietro un orecchio come nell’accavallare le gambe nel sedersi al bancone di un bar. Èoggettivo però che avere la massima libertà di adoperare tutto il proprio corpo, sia un vantaggio. E questo vale sia fuori che dentro a un letto.

Maternità e endometriosi

Rispetto alla femminilità, c’è tutta la delicatissima questione riguardante la possibilità di essere sterili, aspetto spesso piuttosto difficile da accettare. Quando, post-operata, ti dicono che quello è il momento migliore per cercare una gravidanza e tu sei single, un po’ il mondo te lo senti crollare addosso! È vero, ci sono le adozioni, è vero che ho ancora qualche annetto buono prima che il mio orologio biologico inizi a fare tic tac… Il fatto è che scegliere liberamente di fare o non fare un figlio è una cosa, tutt’altra cosa è se te lo impedisce una malattia! Tra l’altro, una malattia che ancora non si sa da cosa sia provocata né, tanto meno, come si possa curarla.

Mi sono sposata a 23 anni vergine, i dolori per riuscire ad avere dei rapporti sono uno fra i campanelli d’allarme e invece me ne dissero d’ogni, tra cui che avessi l’utero retroverso. Che non ho.  Ripensai agli anni di matrimonio, al mio iniziale desiderio di maternità che  poi svanì nel nulla per tornare prima dell’epilogo del nostro rapporto. Sensi di colpa, depressione, abbassamento di autostima…

Sessualità e endometriosi

Cosa puoi dire della relazione tra endometriosi e sessualità? È possibile provare piacere sessuale?

Io farei l’ amore tutti i giorni. Gli orgasmi andrebbero messi nei farmaci salvavita (l’avevo letto da qualche parte e mi trovai d’accordo). Il problema è che chi ti sta a fianco e ti vede soffrire magari si fa riguardo… Ma se ne può parlare e magari riuscire a superare questo ostacolo. Il problema più grande è per chi un partner fisso non ce l’ha e magari non ha neppure intenzione di sistemarsi. Metti una sera che incontri una persona che ti piace e vorresti averla, anche solo per un’unica volta. Cosa fai, le racconti tutto rischiando il crollo della libido? O è meglio non dir nulla e, magari, doversi fermare sul più bello perché non sei più in grado di sopportare il dolore?

Come lenire il dolore

Il tema del dolore è un tema scottante per chi soffre di endometriosi… Cosa ti ha aiutata in questi anni?

Io credo che tutte le attività in cui possiamo esprimerci liberamente possano aiutarci a lenire il dolore: la danza, il canto, la pittura, suonare uno strumento, leggere, cucire, fare giardinaggio, decoupage, cucinare, praticare uno sport, passare l’ aspirapolvere. Quando ci ritagliamo del tempo e lo dedichiamo a noi, quello è il momento migliore per ascoltarsi, capirsi, amarsi.

Che suggerimenti delicati e pieni di amore verso di sé… Ne hai altri, per aiutare le donne che, a causa dell’endometriosi, provano dolore quotidianamente?

Non mi sento di dare indicazioni farmacologiche perché ognuna di noi ha la propria storia clinica, il mio corpo può rispondere a un farmaco in maniera differente rispetto a un’altra donna per svariate ragioni. Ognuna, a tentativi, deve trovare il proprio cocktail per riuscire a stare bene.

Ho provato dei massaggi osteopatici per il trattamento del pavimento pelvico, che suggerisco. Ahimè, nel mio caso sarebbero efficaci se ne facessi due a settimana e non me lo posso permettere. Ho tratto beneficio da trattamenti energetici e sedute meditative. Credo che alla base di questo ci sia la necessità di trovare un proprio equilibrio interiore, una propria tranquillità mentale, una stabilità di cui si ha estremo bisogno quando la malattia va affrontata quotidianamente a denti stretti. Più si è sereni e meglio si sta e questo vale per tutti. Posso dire che io col tempo, per sopperire al dolore, a tutte le problematiche correlate alla malattia e alle conseguenti limitazioni, ho iniziato anche ad adoperare ausili come le stampelle, uno o due a seconda della necessità, come il carrellino/girello dal quale sono poi passata alla carrozzina. Non è stata una passeggiata ve l’assicuro e non lo è tutt’ora.

Eppure, con l’aiuto della carrozzina…

Eppure, con la carrozzina ho fatto il corso base e sono diventata clown di corsia, riesco ad andare a fare servizio in corsia, esco più spesso, ogni tanto vado a mangiare fuori…Quest’estate sono stata a qualche concerto, a un paio di matrimoni, al Pride di Milano. Sto persino imparando a giocare a tennis. Ho fatto trasferta al mare e in montagna, di pochi giorni ma meglio che niente. Con la carrozzina elettrica vado a fare la spesa, porto Mina al parchetto per cani vicino casa, faccio qualche commissione nei paraggi e vado a teatro – faccio teatro integrato -. Due cose mi mancavano: correre e danzare. Alla mancanza della danza ho sopperito e ho addirittura conquistato il titolo di Campionessa Italiana di danza in carrozzina della mia categoria.

Io e Mina – Immagine protetta da Copyright

Ce lo dicevi, Chiara, che c’era l’altra faccia della medaglia! Eppure ancora non siamo entrate nel dettaglio di questo cambiamento di prospettiva…

Lo faremo la prossima puntata! Stay tuned! 😉

La quarta puntata

La quarta puntata ci porta verso la fine di questa intensa intervista, organizzata in cinque puntate. Avranno ampio spazio gli aiuti, gli appoggi, le risorse esterne e interne che Chiara ha saputo cogliere e utilizzare per cambiare prospettiva e far…ballare la sua vita!

Potrai leggere la quarta puntata sul blog della dott.ssa Simona Muzzetta e, se temi di perderti una puntata, puoi seguirmi su Facebook: ti terrò aggiornata/o!

Si ricorda che tutte le immagine utilizzate per l’intervista di Chiara Pedroni sono protette da Copyright.

Il dolore cronico – e con lui altri tipi di dolore, ad esempio i disturbi cosiddetti psicosomatici – porta con sé una complessità segreta: il dolore sporco. Per conoscerlo, passiamo per quello pulito.

Il dolore pulito

Il dolore pulito è il dolore che provi. Quel prepotente mal di testa che pulsa per ore o il cerchio alla testa che insiste e stringe a ogni ora, tutti i giorni; il dolore e i crampi allo stomaco; quelle contratture alle spalle che ti limitano persino a tenere la testa ritta sul collo, il prurito insopportabile di quella eruzione cutanea; i dolori pelvici per endometriosi; i sintomi migranti della fibromialgia

Potresti vivere la compagnia del dolore cronico per una questione organica seguita dai medici oppure subire gli effetti dello stress e portare su di te i segnali e i sintomi psicosomatici.

Il significato di “psicosomatico”, per evitare fraintendimenti

C’è una sorta di fraintendimento sui disturbi psicosomatici, una credenza che solo negli ultimi anni inizia a essere smontata e chiarita.

Il fraintendimento consiste nell’aver ritenuto i disturbi psicosomatici dei disturbi fittizi. Si pensava che la persona non avesse proprio un bel nulla e che il dolore fosse percepito, ma non reale. Di qui, il passo a ritenere che la persona con questo tipo di disturbi avesse qualche problema psicologico importante fu breve. La persona, con il suo dolore fisico, era malata, nella psiche.

Ora si sa che non è così!

Il disturbo psicosomatico è un disturbo reale del quale, tuttavia, non è riscontrabile una causa organica. Il dolore non ha alla base un problema fisico, misurabile dagli strumenti medici.

Alla sua base c’è una questione psicologica, laddove, per “questione psicologica”, si intendono: stress, situazioni relazionali difficili, insoddisfazioni personali, traumi irrisolti

Cosa hanno in comune dolore cronico e disturbo psicosomatico

I disturbi psicosomatici portano sintomi variegati, che toccano diverse parti del corpo. Alcune volte si presentano in modo acuto e sporadico – più o meno frequente – altre sono persistenti e continui – più o meno acuti -.

Il dolore cronico segue ritmi simili: per lo più è continuato e persistente anche se vi sono momenti di picco, in cui il dolore si fa acuto.

In entrambi i casi, ti trovi a fare i conti con un corpo che ti fa stare male e ti fa provare disagio per il dolore, il prurito, per la contrattura o per qualsiasi altro tipo di reazione fisica tu stia vivendo.

In entrambi i casi, il disagio fisico è qualcosa con cui fare i conti nella tua giornata. Amaro a dirsi, fondamentalmente hai dovuto imparare che non hai soluzione e sono iniziati tutta una serie di disagi aggiuntivi, corollario pungente del disagio principale.

I disagi aggiuntivi

Li stai già elencando tra te, vero? I disagi aggiuntivi più frequenti sono:

  • Limiti alle tue attività;
  • Rinuncia ad alcune scelte e proposte;
  • Necessità di pause, anche lunghe, dal lavoro;
  • Piaceri ridotti – alimentazione, sessualità, sport, vacanze… -;
  • Spese corpose per farmaci e prodotti lenitivi.

Il dolore cronico sporco

Ebbene, qui si innesta il dolore sporco. Ogni disagio aggiuntivo ha il potere di evocare emozioni spiacevoli. Per spiegarmi con più accuratezza, preferisco dire che tu, di fronte ai disagi aggiuntivi, puoi provare delle emozioni. Con maggiore probabilità, le emozioni che provi sono quelle che si è soliti annoverare tra le sgradevoli: ansia, rabbia, senso di colpa, tristezza, paura…

Questo è il dolore cronico sporco.

Perchè “sporco”?

A scegliere questa dicitura sono Joanne Dahl e Tobias Lundgren, uno psicologo e un professore di psicologia che hanno approfondito l’utilizzo dell’Acceptance and Commitment Therapy per il dolore cronico. Il dolore cronico sporco amplifica il dolore pulito, aumenta il disagio, fa il gioco sporco ed è un tipo di dolore su cui puoi agire tu, riprendendo contatto con te stesso/a e mettendoti alla guida delle tue risposte emotive.

La sofferenza data dal dolore è parte dell’esperienza stessa di dolore, mentre i processi emotivi legati ai disagi aggiuntivi sono, per l’appunto, aggiuntivi. Lasciati liberi di agire possono peggiorare la tua esperienza, già faticosa, di dolore ed ecco perché è utile riprenderne il controllo.

Qualche esempio di dolore sporco

  • Rabbia per le rinunce e i limiti;
  • Tristezza per le rinunce e i limiti;
  • Disappunto, senso di ingiustizia o invidia per chi non prova un dolore come il tuo;
  • Senso di colpa per le rinunce che vivono insieme a te le persone care;
  • Senso di colpa per le spese sanitarie che hanno un peso sull’economia familiare;
  • Frustrazione per la fatica a godere dei piaceri.

La lista può allungarsi, ma la fermo qui perché so che hai capito cosa sto comunicando con questo articolo: puoi ridurre la sofferenza agendo sul dolore sporco.

In particolare, il dolore cronico sporco che fa il gioco più sporco sono le emozioni che provi direttamente verso il tuo dolore: rabbia, disprezzo, tristezza, se portate all’estremo, diventano distruttive e hanno il potere di accentuare il dolore e catalizzare l’attenzione su di esso e non su di te come persona.

Se stessi come strumento contro il dolore cronico

La psicologia sceglie di concentrarsi sul dolore cronico sporco per coadiuvare il supporto medico e potenziarne gli effetti, in alcuni casi intervenendo in modo autonomo, senza il bisogno dell’affiancamento medico.

Tu sei tu, indipendentemente dal dolore che provi. Per quanto pervasivo, insistente, invalidante, il dolore è il dolore, tu sei tu. Questo passaggio, facile a dirsi, meno agevole a farsi, è il primo passaggio che ti porta ad addomesticare il dolore cronico sporco.

Lo psicologo sceglierà insieme a te le tecniche per accompagnarti a raggiungere questo importante risultato per la tua qualità di vita.

Flavia ha 42 anni. Soffre di cefalea tensiva di tipo cronico e ogni singolo giorno convive con un dolore ovattato e un senso di pressione alla testa.

La cefalea tensiva

La cefalea tensiva è un tipo di cefalea per lo più causato da stress, affaticamento mentale o problemi posturali/masticatori. Si manifesta con un dolore diffuso “a fascia” o “a casco” ed è narrato come un peso, una pressione, più o meno intensi e dolorosi. Si può manifestare sporadicamente e durare fino a un massimo di 15 giorni, oppure cronicizzarsi.

Le cure tentate da Flavia

Flavia mi chiede una consulenza perché stanca di assumere farmaci – la cefalea tensiva risponde bene agli antidolorifici e questo fa sì che chi ne soffre ne assuma molti -. Amici e medici le hanno suggerito di provare con la psicologia e lei, scettica ma stremata, ha scelto di seguire il consiglio.

Oltre ai farmaci, ha provato con la ginnastica posturale, il byte notturno, ha controllato la vista e si concede massaggi a spalle collo – per rilassarsi -. Inoltre, fa ginnastica leggera.

Come la cefalea influenza la vita di Flavia

Impegnata a contrastare la cefalea tensiva, Flavia ha iniziato a godersi meno la vita. Rinuncia ad attività e uscite, fatica a concentrarsi nel lavoro, trascorre le giornate in tensione arrivando a sera carica di malumore, rabbia, ansia e tristezza. Anche le sue relazioni familiari iniziano a risentirne e Flavia vuole preservarle perché ama la sua famiglia.

Flavia ha già provato anche il Training Autogeno, ma…

Flavia mi racconta di aver provato anche il Training Autogeno, partecipando a un corso di gruppo. Non ne ha tratto beneficio e, ammetto, mi dispiace sentirglielo dire perché ho esperienza della sua utilità in queste situazioni cliniche. Proprio per questo, mi permetto di chiedere a Flavia di raccontare la sua esperienza con il TA e capiamo in fretta, insieme, cosa non ha funzionato: gli esercizi non erano personalizzati e dedicati!

L’importanza di tecniche dedicate

Il Training Autogeno segue un protocollo base regolare e predefinito, ma nulla vieta di adattare il metodo di modo da venire incontro alle esigenze singole. Nel caso di Flavia, anziché ripetere l’esperienza standard già fatta con questa tecnica di rilassamento, ragioniamo insieme sulle sue sensazioni fisiche e la percezione che ne ha è di:

  • Rigidità al collo
  • Testa grossa e pesante

Flavia desidererebbe:

  • Un collo morbido e rilassato
  • Una testa piccola e leggera

Lavoriamo sulla cefalea con un Training Autogeno dedicato

Adattiamo il modello standard del Training Autogeno alle specifiche necessità di Flavia e inizia un allenamento dedicato, volto a rilassare il collo e a rendere più leggera la testa. Sin dai primi due incontri, Flavia nota che in questa modalità applicativa il Training Autogeno funziona. Aumenta la motivazione e comincia a prenderci gusto.

Dopo tre incontri iniziano a crearsi i primi automatismi grazie alla fervida immaginazione di Flavia che riesce a immaginare di poter rimpicciolire la testa con pollice e indice, come si fa su un touchscreen.

Flavia e la cefalea tensiva, otto incontri dopo…

Dopo otto incontri, Flavia ha domato e addomesticato la cefalea tensiva. Niente più farmaci, le basta lavorare di Training Autogeno. Continua a godersi i massaggi e la ginnastica dolce e, nei momenti di carico lavorativo e familiare la cefalea preme come il solito, ma lei non vi soccombe. Quasi sempre le bastano cinque minuti – cinque! – per ridurre la pressione “a casco” e sentire il collo morbido e la testa piccola e leggera.

L’effetto più benefico di tutti

Oltre al benessere fisico e a tutta una serie di migliorie nella qualità di vita e nelle sue relazioni, Flavia sperimenta l’effetto più benefico di tutti: l’autoefficacia.

L’autoefficacia è la percezione di se stessi come efficaci nella soluzione, gestione, abilità operativa in un dato ambito. Flavia percepisce la propria autoefficacia nel lenire, ridurre e prendersi cura della sua cefalea. Ha imparato che ha un potere sul proprio benessere e che può contare sulle sue capacità di concentrazione, immaginazione e auto-genesi di rilassamento e pace dal dolore.

Brava, Flavia!

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.