Hai presente i sorrisi fetta di limone? Puoi riprodurli facilmente immaginando di succhiare una fetta di limone aspra. Ti si arricciano le labbra e un poco il naso? Forse ti si aprono un filo le narici? Indipendentemente da quanto ti piaccia il succo di limone, se la fetta è piuttosto aspra, l’espressione che il tuo volto assumerà in automatico sarà più o meno la stessa. Così i sorrisi fetta di limone.
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I pensieri fanno invecchiare? Ho letto in questi giorni un libro del 2017 delle ricercatrici Elizabeth Blackburn e Elissa Epel che approfondisce gli effetti dei pensieri sull’invecchiamento e la salute. Nello specifico, sembra che vengano danneggiati i telomeri – piccole porzioni di DNA – che…
“Mi ricorda qualcosa, va bé”…Cito Vasco, decontestualizzandolo rispetto al testo della sua canzone. L’articolo racconta di sensibilità sensoriale cioè la capacità di sentire (e percepire) attraverso i sensi. In particolare voglio soffermarmi su un fenomeno affascinante dei sensi e, nello specifico, dell’olfatto: la stretta connessione con i ricordi.
Uno su due. Una su due persone che vengono in studio mi racconta che qualcuno le ha detto: ” È solo stress!”. Sintomi fisici debilitanti, emozioni che si fanno invivibili, disagi relazionali e professionali, calo del tono dell’umore, sono stati liquidati in questo modo.
Il problema non è lo stress
Il problema, nel dire che si tratta di solo stress, non sta nello stress. Il problema è che venga associato a quell’avverbio, solo, che significa solamente. Solamente stress?? Chi ha avuto il vezzo iniziale di associare queste due parole nella stessa frase probabilmente non aveva ben chiaro cosa sia lo stress e cosa possa combinare. Non è solamente stress, è stress. E stress della peggior specie, se ti fa avere sintomi fisici o psicologici. Tant’è che è chiamato distress, lo stress cattivo, al contrario dell’eustress che, in soldoni, sarebbe quello buono. Come per il colesterolo.
Come si scoprì lo stress.
La storia è nota: Selye, durante una ricerca in laboratorio con dei malcapitati topolini, notò che i suoi topolini, a differenza di quelli del suo collega, manifestavano tutta una serie di sintomi fisici e comportamentali di disagio. Qual era la variabile, dato che entrambi stavano lavorando allo stesso esperimento? Ebbene, Selye – un poco pasticcione – faceva cadere i topolini mentre li spostava e maneggiava, provocando loro, di conseguenza, tensioni continuative. Queste tensioni continuative, di tipo fortemente negativo – cadere dall’altezza di un uomo, per un topolino, deve essere spaventoso! – produssero sintomi che, a quel punto, stimolarono i ricercatori a capirne di più.
Come funziona lo stress
Dagli studi emerse che quando un organismo è sottoposto a tensioni e pressioni (stress, in inglese) passa attraverso tre fasi:
Fase 1: Allarme
In questa fase l’organismo registra il disagio e si premura di stare attento e di monitorare ciò che accade. L’organismo percepisce, a livello consapevole o inconsapevole, un fattore di stress cioè un vento che ritiene inaspettato o insolito e lo codifica come difficoltà o possibile pericolo.
Il fattore di stress può essere di natura psicologica (una preoccupazione o una litigata, per esempio), fisica (un incidente, una caduta, un fenomeno ambientale avverso come un terremoto…) o biologica (infezioni, malattie, intossicazioni…).
Fase 2: Resistenza o Adattamento
Questa fase può essere più o meno lunga ed è la fase in cui, persistendo lo stress, l’organismo si adatta alla situazione avversa e resiste. Molte persone restano imprigionate in questa fase. Un segnale per capire se capita anche a te è che fatichi a rilassarti, anche quando sei in un momento di pace e riposo.
Fase 3: Esaurimento
Quando il fattore di stress è superato o quando l’organismo sente di non avere più energie per resistere, si scivola nella terza fase che, fisiologicamente, dovrebbe garantire il recupero. Tuttavia, quando la fase precedente è durata molto e l’organismo non ha energie, questa terza fase può protrarsi molto a lungo.
La componente biochimica
Ogni fase appena descritta è accompagnata da movimenti ormonali che coinvolgono il cosiddetto asse ipotalamo-ipofisi-surrene. In particolare, viene prodotto il cortisolo, l’ormone dello stress, responsabile ad esempio di insonnia, aumento di peso, iperglicemia, stanchezza, alterazioni del tono dell’umore e, in particolare, l’alterazione delle difese e del sistema immunitario.
La componente sociale
No, non è solo stress perché oggi è diventato abituale tenere duro e resistere a ritmi serrati. Inoltre, i messaggi mediatici allarmanti portano le persone a temere scenari catastrofici, a vivere quotidianamente con l’ansia che qualcosa di negativo possa accadere a loro, ai loro cari, all’essere umano. Ne consegue che si sta sviluppando il cosiddetto stress cronico. Noti da te che conseguenze dannose tutto questo può avere sulla salute.
Se ti senti sotto pressione e ti pare di non riuscire a fare le tue cose quotidiane, se hai un sintomo fisico che hai già controllato con il medico e non va via, se l’umore cala, l’ansia aumenta e ti pare che tutto vada a rotoli… bè, il distress è probabilmente entrato nella tua vita.
Prevenzione e recupero
Prevenzione e recupero sono importanti. Entrambi parlano da sé: la prevenzione aiuta a non finire nel trappolone del distress, il recupero aiuta a uscirne quando ci si è già scivolati.
Per la prevenzione, sono buono tutti i modi che tu ritieni utili per ridurre lo stress; sport, hobbies, natura, meditazione… Valuta le tecniche di rilassamento che, una volta acquisite, ti accompagnano per tutta la vita, nel quotidiano e nelle situazioni più cariche. Valuta, anche, un percorso di crescita personale che ti rende più capace di fronte alo stress.
Per il recupero da distress… i tasselli da rimettere a posto sono variegati e, in tal caso, l’aiuto psicologico è a mio avviso indispensabile. Psicologico, perché la reazione al distress ha ripercussioni sulla tua vita, sulla tua salute e sulle tue relazioni e, forse non ci hai mai pensato, legami stretti con la tua storia.
La mia passione per le interviste questa volta mi porta a presentarti la conversazione che ho fatto con una collega che si occupa di comportamento alimentare. Io e la Dott.ssa Giulia Burigo abbiamo alcune cose in comune: siamo entrambe psicologi, siamo entrambe originarie di Belluno e stiamo condividendo una arricchente formazione professionale, di specializzazione.
Abbiamo, anche, diversi aspetti che ci rendono diverse! Lei è molto più giovane – va così! – io ho un aspetto nordico, lei decisamente no e, soprattutto, ci dedichiamo ad aree diverse della psicologia. Sai già di cosa mi occupo e qui mi dedico a Giulia e alla sua preparazione in ambito di psicologia nutrizionale e comportamento alimentare.
Inizia l’intervista!
Fotografia: Dott.ssa Giulia Burigo. Immagine protetta da Copyright
Ciao Giulia, mi fa molto piacere farti questa intervista che corona le nostre conversazioni degli ultimi mesi. So che chi mi legge è abituato ad andare al sodo e quindi entro già, con la prima domanda, nel vivo dell’intervista!
Qual è il ruolo dell’alimentazione nella vita di una persona?
Alimentarsi significa, in primis, apportare nutrimento al proprio corpo e in questo senso il cibo assume un ruolo centrale: nutrendoci, siamo in grado di ricostruire lo stock di energie che il nostro corpo consuma per garantirci la sopravvivenza. Il comportamento alimentare, tuttavia, non è guidato esclusivamente dagli stimoli di fame e sete, ma è anche determinato da meccanismi in buona parte inconsci, che sono influenzati dai nostri sentimenti e dalle nostre emozioni. Inoltre, in modo – per così dire – simmetrico, l’alimentazione influisce sul nostro equilibrio emotivo e, di conseguenza, anche sull’interazione con gli altri.
Da dove nasce il tuo interesse per questo settore?
L’ultimo anno di università, per circostanze del tutto casuali, mi sono trovata ad effettuare una ricerca volta a indagare le componenti cognitive e affettive implicate nei disturbi alimentari. Sono rimasta affascinata da
questo mondo, così attuale ma così poco esplorato. Per saperne di più, ho letto molto, studiato e approfondito in autonomia e ho partecipato ad alcune formazioni specifiche e dedicate al comportamento alimentare e alla sana alimentazione. Che dire? È stato amore. Così, una volta laureata, ho deciso di trasferirmi a San Vito al Tagliamento (PN), per effettuare il tirocinio professionalizzante per l’abilitazione alla professione di psicologo nel Centro Disturbi Alimentari. Ne avevo sentito parlare in positivo e la mia esperienza conferma le voci di allora.
E poi, Giulia, com’è andata? Come si è evoluta la passione?
Una volta tornata a Belluno, sebbene il mio interesse si sia ampliato anche verso altri ambiti della psicologia, ho continuato a dedicarmi a questo settore. Seguo diversi progetti. Ad esempio, presso l’ospedale di Belluno, è attivo il progetto di “pasto assistito“, sostenuto da alcune associazioni presenti sul territorio. Un altro interessante progetto è seguito in collaborazione con l’ADAO Friuli Onlus (associazione che fornisce supporto a coloro che si trovano a vivere la dolorosa esperienza di un
Disturbo Alimentare): abbiamo raggiunto l’ importante traguardo di fare prevenzione all’interno delle scuole.
Complimenti! Credo sia di importanza essenziale aiutare i piccoli a capire il significato di una sana alimentazione. In cosa consistono gli interventi di prevenzione nelle scuole?
Si tratta di una serie di incontri, sia con i ragazzi che con i genitori, per far conoscere i fattori di rischio di Disturbi Alimentari ed Obesità utilizzando un approccio innovativo, interattivo ed esperienziale. I ragazzi, durante il percorso, acquisiscono strategie per modificare atteggiamenti e comportamenti disfunzionali nei confronti di cibo e rispetto alla propria forma corporea; hanno imparato ad alimentarsi in modo equilibrato, a vedersi più positivamente e a leggere in modo critico i messaggi che la società quotidianamente invia sugli ideali di bellezza e magrezza.
Nodo dolente, questo… Quanto pensi possa contare il tema della bellezza rispetto al comportamento alimentare?
Quello che viene proposto come ideale di bellezza (e di magrezza) può avere un forte impatto sull’autostima. Social media e pubblicità spesso ci propongono volutamente modelli irrealistici, facendo di
questa contraddizione lo strumento capace di instillare il tarlo del “vorrei tanto essere così”. Da qui a “vorrei tanto essere magra/o così”, il passo è breve! Gli strumenti di divulgazione commerciale puntano a far
acquistare la pillola dimagrante dai poteri straordinari o la crema in grado di snellire in una notte. Fanno leva sul senso di inadeguatezza e sulla possibilità di soluzioni veloci e facili, rubando alle persone il diritto di sentirsi responsabili del loro corpo.
La strategia di marketing è efficace e per contrastarla,
è importante dare modo alle persone di imparare,
fin da giovanissime, a non caderne vittima.
Come influisce l’alimentazione su questi aspetti?
Una persona fragile o giovane, che stia ancora lavorando sulla fiducia in se stessa, una volta esposta a queste “manipolazioni”, può basare il proprio valore sull’aspetto e su un numero sul display della bilancia che, paradossalmente, offre così alla persona, attraverso il suo corpo, un peso. Il cibo, come è noto, può assumere significati diversi: può essere un amico, un passatempo, uno sfogo, un senso di colpa, una paura. Gli si dà un potere che va oltre la funzione di nutrimento e di fonte energetica. Nei nostri incontri di prevenzione riflettiamo con i ragazzi anche su questi aspetti.
Rispetto ai messaggi mediatici, che bombardano giovani e non, come ci si protegge?
Risponderò in un modo che, a una prima lettura, potrà sembrare una ripetizione di contenuti noti. In effetti, lo è. Perché quello che sto per dire è semplice e ovvio tanto quanto difficile da agire e raro e inusuale. Ebbene, in una società che bombarda di immagini che spingono verso l’omologazione, ne esci libero/a imparando a guardarti dentro, a ricercare ciò che ti rende unico. Si lavora per accogliere la propria unica diversità, coltivandola, riconoscendo che non è inferiorità e facendola il proprio punto di forza. Fai un passo in più, chiedendoti cosa ti rende, davvero, felice. La risposta non sarà un numero.
Mi fai venire in mente una vecchia canzone di Peggy Lee… diceva ” È tutto qui”. A volte le soluzioni sono così semplici che sfuggono fino a quando qualcuno ce le fa notare. Fate un lavoro importantissimo, Giulia!
Sì, e ne sono molto soddisfatta. Stiamo lavorando bene, con ottimi risultati. Questo ci permette anche di descrivere ai ragazzi l’utilità di un percorso psicologico rispetto al comportamento alimentare e a capire quando è importante chiedere un aiuto.
Quando trovi utile in questo settore un accompagnamento psicologico?
Un percorso psicologico è consigliato quando ci si sente a disagio nel e con il proprio corpo. Questo è uno spazio preventivo importante che può salvare la vita. Naturalmente, il sostegno si fa necessario quando il pensiero e le emozioni che ruotano intorno al cibo e all’aspetto fisico diventano invadenti e costante. Insomma, quando si arriva a dimenticarsi della vita per pensare a cibo e corpo.
Quale metodo di lavoro utilizzi? Quali sono i suoi punti di forza?
Solitamente, con le persone che scelgono di intraprendere un percorso con me, prediligo un approccio integrato e flessibile. Tuttavia, nel caso di Disturbi e Disordini Alimentari, adotto il modello Cognitivo Comportamentale. In particolare, seguo le linee guida della Terapia Cognitivo Comportamentale Enhanced proposta da Fairburn, che, negli studi di valutazione, mostra alti tassi di remissione dei sintomi e risultati mantenuti nel tempo. In ogni caso, ogni percorso è differente: il programma viene stabilito insieme alla persona e personalizzato in base ai suoi bisogni e alle sue aspettative, oltre che costantemente revisionato.
Quando mi hai dato il tuo biglietto da visita, ho notato immediatamente lo slogan, semplice e diretto: “Love yourself”. Cosa ti ha fatto scegliere proprio queste parole per raccontare la tua attività?
Amarsi è una cosa meravigliosa e richiede un percorso con se stessi; lo si impara a fare, si conquista giorno dopo giorno, un piccolo passo dopo l’altro. Ognuno ha grande valore come persona, indipendentemente dall’aspetto esteriore e dalla forma corporea. Il corpo di ognuno è un tempio: ci accompagna per tutta la vita e vale la pena prendersene cura e trattarlo bene.
Grazie Giulia, c’è qualcosa che vorresti aggiungere per salutare chi sta leggendo queste tue parole?
Sì! Che facendo un percorso dedicato alla parte interiore di sé, inevitabilmente e di riflesso, anche l’involucro risplenderà.
Se desideri contattare la dott.ssa Gulia Burigo, ecco i suoi contatti:
Cell. 346 1065661; Email burigo.g@libero.it; Pagina Facebook
Appena hai letto “ipnosi” hai fatto un’espressione di disappunto? Forse hai visualizzato qualche personaggio tv intento a mostrare braccia che levitano o persone che eseguono istruzioni assurde e poco dignitose. L’ipnosi non è questo, posso rassicurarti!
Cosa si intende per ipnosi clinica
L’ipnosi clinica è un insieme di metodi che sfrutta la naturale tendenza dell’organismo a rilassarsi, concentrarsi in modo focalizzato e portare l’attenzione dal mondo esterno a se stessi (emozioni, sensazioni, pensieri). Ne consegue che non vi è alcuna magia o stranezza, ma vengono usate le capacità umane di auto-indursi un rilassamento profondo.
Ansia e rilassamento
Da tempo è nota l’utilità di conoscere tecniche di rilassamento per prevenire, ridurre, allontanare e vivere i picchi d’ansia. Tra esse, elitario è il Training Autogeno.
Da qualche tempo è nota anche l’utilità della meditazione per prevenire, ridurre, allontanare e vivere i picchi d’ansia. Tra esse, va per la maggiore la mindfulness.
L’ipnosi come alternativa
L’ipnosi si posiziona in questa top three e, forse, al primo posto. Si tratta di un’alternativa validissima ed efficace che porta con sé alcuni vantaggi:
- Minor filtro cognitivo rispetto al Training Autogeno
- Minor tempo da dedicare all’apprendimento rispetto alla mindfulness
- Possibilità di utilizzo “al bisogno”, in modo rapido, fin dalle prime pratiche
- Nessun protocollo da acquisire
Ansia e ipnosi
L’ipnosi clinica ti mette in contatto con la possibilità di spegnere il pulsante di accensione dei picchi d’ansia. Di conseguenza, ti insegna a distinguere tra l’ansia che può servirti e quella di troppo e ti fa spegnere l’interruttore emotivo quando l’ansia è troppa e poco utile e funzionale.
Dopo aver appreso come fare e quando farlo, potrai rapidamente, in qualsiasi momento, raggiungere il rilassamento ipnotico che ti solleva dall’ansia. Il bello è che puoi raggiungerlo se lo vuoi e quando lo vuoi, con un solo gesto.
E quando l’ansia è somatizzata?
Un’emozione è somatizzata di fatto, sempre. Con questa frase intendo dire che non esiste emozione scevra dalla sua manifestazione fisica, pertanto, quanto provi ansia, il tuo corpo ha sempre e comunque un qualche tipo di reazione e manifestazione fisica.
In alcuni casi, questa reazione si cronicizza o si traduce in un sintomo ripetuto, specifico, caratteristico: per alcuni il mal di stomaco, per altri la cefalea, per altri ancora il colon irritabile o le contratture muscolari.
Chiamiamo somatizzazioni questo tipo di reazioni fisiche, reali, connesse all’emozione. L’ipnosi riesce ad agganciare queste reazioni e a darti il potere di controllarle, modularle, farle sparire.
Si inizia così…
Si inizia con un incontro di rilassamento base che ha la funzione di aiutarci a capire se converrà procedere con il Training Autogeno, proporti un percorso di mindfulness – con un operatore esperto – oppure lavorare con il rilassamento profondo dell’ipnosi.
Faremo qualche esercizio che userà respirazione, rilassamento muscolare e immaginazione e ne uscirai piacevolmente rilassato/a e con più energia. Quindi, comunque sia, sarà un tempo dedicato a te ben usato.
…e si continua così!
Qualora valutassimo di continuare con il metodo di ipnosi clinica, ci vorranno circa altri cinque incontri, più il tuo impegno a casa, quotidiano, di 15 minuti al giorno al massimo. Registrerò dopo ogni incontro una guida vocale dedicata a te e alla tua situazione, la riceverai su whatsapp e la seguirai una volta al giorno, fino all’incontro successivo.
Via via, la guida vocale si farà più sintetica, per darti la possibilità di fare tuo il metodo senza dipendere dalla traccia vocale. Un grosso rischio di alcuni metodi, infatti, è creare una dipendenza dalla voce dell’operatore o dalle sue specifiche parole. Senza, diventeresti incapace di rilassarti: un disastro!
Dalla guida vocale, all’ancoraggio
Alla fine di questo percorso di apprendimento, la mia voce sarà sostituita da un gesto di ancoraggio che ti permetterà di raggiungere il rilassamento profondo ipnotico in autonomia, quando vuoi e solo se lo vuoi, in pochi secondi.
Ipnosi = Tu, alla plancia di comando
Il dettaglio essenziale e importante è che otterrai, finalmente, il controllo e il comando del tuo modo emotivo. Basta reazioni a casaccio, eccessive o imbarazzanti; basta reazioni passive o senso di inadeguatezza; basta percezione di subire le tue emozioni!
L’ipnosi non è la perdita di controllo, non ti mette in balia degli altri, ma è la possibilità di riprendere il controllo di sé. (A. Calderoni)
Informazioni aggiuntive?
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