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Nino fa i rebus in salotto. Li tiene riservati per sé e tutti sanno che ci tiene molto. Li fa in salotto perché…

Ricordare la propria storia è utile e importante per diverse ragioni che ruotano intorno alla tua identità. Raccontandola noti elementi di continuità, eccezioni e scopri i motivi dei tuoi comportamenti di oggi. Tutto questo è utile anche solo per conoscenza; utilissimo se cerchi un cambiamento.

Il genogramma è uno strumento per raccontare la storia della propria famiglia.

Utilizzato durante un percorso psicologico, ti aiuta a dare un senso ad alcuni passaggi esistenziali, a scoprire dei perché e a mettere in azione nuovi comportamenti per non ricadere in schemi antichi.

Una rappresentazione grafica di…

Il genogramma rappresenta graficamente la storia familiare, di solito di tre generazioni (nonni, genitori e figli) e ne ricava informazioni sulle relazioni, le alleanze, i conflitti, le modalità educative, i ruoli di ogni membro familiare.

Come in un club, si registrano partecipanti attivi e passivi, chi non c’è più, chi ha scelto di uscire dal club o è stato bandito dal club, chi ha ruolo di leader e chi di gregario.

Quando puoi trovarlo utile 

 

Ti è utile quando ti stai facendo domande sui perché.

Penso ai perché che hanno a che vedere con le relazioni familiari, certo, ma non solo.

Ci sono anche quelli legati ai tuoi comportamenti  e alle tue scelte di vita, ai comportamenti che si ripetono nel tempo e ti sembrano intrappolarti o metterti nei guai. Oppure i perché legati al fatto che non vuoi un figlio o alla tua volontà di una carriera lavorativa di prestigio; il perché di alcune paure, perché hai così paura di iniziare una relazione d’amore o perché passi da una relazione all’altra…

Il genogramma, attraverso il suo disegno, ti aiuta a vedere ipotetici perché e iniziare a capirti.

Ti è utile quando desideri riappropriarti del legame con le persone care e con te stesso/a

In caso di lutto, di perdita del lavoro, di una separazione o di un divorzio; in caso di dubbi sulla tua identità sessuale, sul desiderio di avere un figlio…

Come funziona la creazione del genogramma?

francesca-fontanella-psicologo-genogramma

Si inizia con il racconto della storia familiare.

Libero, vè, ché una delle cose utili è lasciare che emerga da sé ciò che può avere rilievo! Ciò non toglie che lo psicologo possa fare domande per chiarire passaggi o gradi di parentela o per conoscere meglio il tipo di relazione e legame che c’è tra te e qualche altro membro familiare o tra i diversi membri familiari.

Attraverso il racconto, si inizia a creare il disegno del genogramma.

Due modi per costruire un genogramma

Personalmente sfrutto due modalità diverse, in base alla situazione:

  1. Raccolgo la narrazione e le informazioni che offre, costruisco il grafico e lo condivido con la persona affinchè possa modificare, aggiungere, personalizzare il genogramma;
  2. Aiuto la persona a costruire il grafico in autonomia, durante la narrazione.

La scelta dipende da diversi fattori, tra cui anche il tipo di consulenza – in studio o online -.

Cosa non è il genogramma

 

Il genogramma non è un albero genealogico

Può capitare che nel genogramma siano rappresentati con maggiore rilievo cugini acquisiti o amici anziché familiari con un grado di parentela più stretto. In un’ottica di Club di Vita, i membri hanno un’importanza determinata da fatti, legami, ricordi e non dal bagaglio genetico.

Il genogramma non è uno strumento previsionale

Non serve, cioè, per dirti cosa accadrà nella tua vità, ma riposizionerà con ordine i fatti accaduti a te e quelli che sai essere accaduti a chi prima di te, per identificare filoni narrativi che ti portano ad avere le convinzioni e i valori di oggi.

Il genogramma non dice chi è giusto e chi è sbagliato.

Se cerchi un modo per fare il processo alle persone che fanno parte della tua storia, il genogramma non fa per te. Il suo scopo è metterti a contatto con somiglianze, differenze, possibili schemi che si ripetono, con la cultura familiare e la tua volontà di rispettarla o disattenderla. Nessuno è giusto e nessuno è sbagliato.

Per chi è indicato 

Per tutte le persone che sanno di avere una storia da cui non possono prescindere e sfruttano questa consapevolezza per alimentare la curiosità verso di sé.

Quello che sta accadendo ora nella tua vita dipende, anche, da quello che è capitato prima di oggi a te e a chi ti è stato accanto – permeando, con la sua esperienza, anche la tua vita -.

E se sai poco della tua storia familiare?

Va bene comunque! 🙂 Puoi godere del genogramma anche se conosci poco le tue origini, se ricordi poco dei tuoi familiari o se la tua famiglia racconta poco di di sé. Il genogramma è un valido strumento anche se la tua storia è una storia di adozione.

Nessun limite e nessuna controindicazione, se non la tua volontà di raccontare e di scoprire di più di te.

Vuoi iniziare a costruire il tuo genogramma?

Scrivimi e lo faremo insieme! Sarà un’esperienza arricchente per te e per la tua vita.

La costruzione del genogramma è autonoma rispetto a un percorso psicologico, quindi… puoi venire anche “solo”  -mica poco! – per costruire il tuo grafico relazionale!



    Somatizzazioni e trauma si incontrano insieme, nelle storie delle persone. Sempre? Spesso. Tralasciando i numeri, nella mia esperienza clinica è capitato così.

    Vuoi, forse, perché alla fin fine un evento traumatico o un’esperienza impattante fanno parte del bagaglio di vita e per loro natura possono produrre sintomi. Tra cui, appunto, diversi tipi di somatizzazioni.

    Cosa intendo per “trauma”

    Qualche tempo fa leggevo l’articolo di un collega americano che si occupa di psicotraumatologia che notava un fatto: le persone quando pensano a un trauma pensano a qualcosa di grosso, devastante, prepotente. Pensano a un episodio che lascia una ferita immediata che non si sana mai del tutto.

    Ci sta, ma il trauma può avere origine anche dalla somma di piccoli eventi spiacevoli ripetuti nel tempo, oppure da un episodio avvenuto quando si è così piccini da non ricordarlo e che assume forza emotiva proprio in virtù della tenera età in cui è accaduto.

    Un esempio di evento traumatico in tenera età

    Si pensi a un bimbo di un anno la cui madre venga ricoverata per un mese in ospedale: non avrà memoria verbale, autobiografica, narrativa del fatto, anche se il suo corpo e il suo cervello ne avranno costruita una traccia. Questo evento traumatico, negli anni, può trasformarsi, per esempio, in dipendenza relazionale, oppure in comportamenti di evitamento delle relazioni – per non soffrire -.

    In un ripetersi di schemi comportamentali può nascondersi un trauma sconosciuto o quasi sconosciuto.

    Traumi transgenerazionali

    Addirittura, secondo una mappa di tipo transgenerazionale, il trauma è ereditabile e trasmissibile da una generazione all’altra attraverso i comportamenti e attraverso alterazioni ormonali che influenzano la sensibilità e la predisposizione ad alcuni disturbi fisici e psicologici. Magari ne farò un articolo dettagliato, una volta o l’altra 🙂

    Per ora basti sapere che per “trauma” si intende qui il risultato psicologico (emotivo e cognitivo) di un evento o di una serie di eventi che sono risultati negativi per la persona.

    La connessione tra somatizzazioni e trauma

    La connessione tra somatizzazioni e trauma sta nel corpo. Il corpo risponde in modo diretto agli stimoli emotivi e si fa carico della risposta comportamentale che ritiene adeguata sul momento. Ne consegue che il corpo, al momento dell’evento traumatico, reagisce e memorizza. A quel punto, per il cosiddetto negativity bias, starà sempre bene attento a tutto ciò che può lontanamente somigliare al trauma.

    Negativity bias? – Francé, parla come mangi! –

    Giusto, il negativity bias… posso spiegarlo in modo maccheronico? (come mangio, hai detto… 😉 ). In pratica si tratta di una sorta di preferenza del cervello a portare l’attenzione e a ricordare i fatti negativi. Utile in natura perché tutto ciò che ha effetti negativi o potenzialmente negativi mette a repentaglio la sopravvivenza propria e della prole o della “tribù”.

    Per retaggio biologico dei nostri antenati siamo bravissimi a notare e ricordare fatti negativi. Ecco.

    Torniamo al trauma…

    Appunto, per via di questo negativity bias, l’evento traumatico è ben memorizzato e registrato nei suoi elementi negativi di modo da aiutare a non incappare in altre situazioni simili.

    Riflettendo sull’esempio del bambino di un anno la cui madre  è stata in ospedale per un mese, possiamo ipotizzare che il suo cervello e il suo corpo abbiano registrato il distacco, il timore per la sopravvivenza, l’ansia e l’urgenza di ristabilire un contatto, ecc…

    Questa traccia nel ricordo psicofisiologico potrà indurti a stare attento nelle relazioni, per non trovarti nella stessa situazione di allora. In che modo starai attento e ti proteggerai dipende da tanti altri fattori, ma l’obiettivo sarà questo: proteggerti dal ripetersi del trauma.

    Torniamo alle somatizzazioni…

    In quel momento fatidico in cui hai incontrato il trauma, il corpo ha reagito a livello comportamentale: ti potresti essere bloccato, oppure potresti aver attivato un comportamento di fuga o di attacco. Potresti aver vomitato o esserti trovato con i pantaloni bagnati di pipì.

    Spesso in maniera diretta, ma mica è detto, questi sintomi si ritrovano nella tua quotidianità: mal di stomaco, disturbi intestinali, mal di testa, disturbi dell’apparato urinario, dolori muscolari intensi…

    Somatizzazioni, per l’appunto: risposte somatiche a un disagio psicologico. Somatizzazioni e trauma si trovano così connesse.

    Sintomi fisici, apparentemente inspiegabili, che sono risposte attuali a un trauma antico.

    Soffri di un disturbo psicosomatico?

    Potrebbe valere la pena sbloccarne la causa traumatica alla base, pensaci! 🙂



       

      A volte le parole non bastano. E allora servono i colori. E le forme. E le note. E le emozioni.

      Alessandro Baricco

      Questo articolo potrebbe concludersi così, con la citazione di Baricco. Più la leggo e più penso che non vi è altro da aggiungere a questa frase che è una poesia.

      Nel lavoro e nella vita privata 

      Questa citazione mi accompagna nel lavoro. A volte le parole non bastano per raccontare il proprio dolore e le proprie difficoltà e va dato spazio al silenzio.

      Stare nel silenzio è un’arte da raffinare senza soluzione di continuità.

      Qualche volte va riempito in modo attivo, qualche volta si riempie da sé, di emozioni.

      Questa citazione mi accompagna nella vita privata. A volte le parole non bastano per esprimere ciò che si desidera comunicare: serve altro. Un mezzo qualsiasi, più sensoriale, più primitivo, che tocchi le corde “giuste”.

      I colori. Le forme. Le note.

      Baricco suggerisce colori, forme, note. Sono d’accordo e aggiungo odori, sapori, sensazioni tattili.

      Ricordo la prima persona che ho seguito anni fa e l’importanza che aveva per lei il calore. Imparò a darlo e a riceverlo iniziando con una coperta e una tazza di latte e la sua colonna sonora del percorso fu Io Posso dire la mia sugli uomini di Fiorella Mannoia.

      Ricordo, anche, una giovane donna che desiderava riconquistare la compagna. Lo fece colorando, in due sole notti, tutte le pareti di casa!

       …coi secchi di vernice, coloriamo tutti i muri, case vicoli e palazzi, perché lei ama i colori.

      Riccardo Cocciante 

      E ricordo me stessa, ragazzina, impegnata a raccontare alla mia professoressa di matematica perché il cerchio mi rappresentasse di più delle altre figure geometriche.

      E le emozioni.

      Baricco suggerisce, anche, che, qualora le parole non bastassero, possono servire le emozioni.

      Nella sua splendida citazione le emozioni sembrano sostituirsi alle parole e arrivare scivolando morbidamente dopo i colori, le forme e le note. Qualche volta è così. Altre, invece, le emozioni sono difficili da riconoscere e ancor più da esprimere e mostrare.

      [Ti può interessare anche: Alessitimia: la storia di Diego e delle emozioni senza nome]

      Alcune cornici culturali e educative invitano al riserbo nell’espressione emotiva e, in quei casi, la difficoltà a entrare in contatto con il proprio mondo emotivo è di tipo sociale e educativo.

      Esprimere un’emozione, tuttavia, è diverso da provare o sentire un’emozione. È diverso da riconoscere l’emozione che si sta provando. È diverso ancora dal saper parlare di emozioni.

      Come psicologa, accompagno a provare, sentire, riconoscere le emozioni. A dar loro un nome, a dar loro parole. Esprimerle e condividerle con altri sarà, poi, una scelta.

      Come donna, mi impegno a fare lo stesso nella vita privata con le persone care e con me stessa. Mi alleno ogni giorno, con scivoloni e scivolini.

      Mi alleno ogni giorno, compiacendomi dei successi e godendomi il lusso di tentativi imperfetti.

      A volte le parole non bastano…

      E, se non bastano, tu cosa usi per comunicare?

      Se ti va, raccontalo qui sotto nei commenti oppure scrivendo a fontanella.francesca@gmail.com

       

       

      La domanda della sera aiuta a liberare dopamina e serotonina e, ora, anche a scoprire qualcosa di nuovo.

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