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I sandali da trekking sono la prima cosa che vedrebbe un osservatore, anche poco attento, entrando nello studio di fisioterapia di via dei Tigli. Che tu ci vada di lunedì o di giovedì o in qualsiasi altro giorno della settimana, in sala d’attesa ci sono due sandaletti tolti in tutta velocità.

Pensare a qualcosa di bello è un suggerimento che le persone si danno, anche vicendevolmente, quando si sentono giù o si trovano in un momento di difficoltà. Mi chiedo, in questo articolo, se davvero possa funzionare.

Oggi si parla tecnico? No, si parla spicciolo per descrivere un contenuto tecnico: il trauma vicario. Mi pare piuttosto importante parlarne per dare un senso alle emozioni intense che potresti provare o aver provato in queste settimane.

Per capirsi sul trauma…

Un evento traumatico è un evento negativo che ferisce nel corpo e/o nella mente (e nel cuore), che disorienta. Si tratta di un’esperienza personale, filtrata dalle proprie percezioni e sensazioni e dalle proprie caratteristiche temperamentali e esperienze di vita perciò oltre al trauma in sè, considera il trauma così come lo stai vivendo tu.

In sintesi, non c’è una misura di gravità del trauma univoca o assoluta perché dipende anche dall’esperienza personale.

Il trauma complesso

La situazione coronavirus può essere descritta come trauma complesso perché si protrae nel tempo con durata non predefinita e al suo interno sono presenti molteplici traumi e microtraumi: morti, notizie, lockdown, perdite economiche, lontananza dagli affetti…

Le reazioni più tipiche?

Alcune reazioni sono frequenti, durante e subito dopo un trauma: ricordi intrusivi, sogni, rimuginii, rifiuto a parlare di ciò che è successo, rabbia, paura, ansia, difficoltà a dormire… Puoi anche faticare a concentrarti o sentirti ipervigile oppure sentirti senza energie. In questo periodo è frequente anche il senso di colpa per essere sopravvissuto o per aver contagiato.

Il trauma vicario

Livelli di coinvolgimento

Arriviamo al dunque, ossia il trauma vicario di cui anticipa il titolo di questo articolo. Ebbene, quando accade un evento traumatico la psicologia dell’emergenza (fonte: Taylor e Frazer, 1981) descrive alcuni livelli di coinvolgimento:

  • Primo livello: persone direttamente coinvolte
  • Secondo livello: familiari, amici e testimoni dell’evento
  • Terzo livello: soccorritori
  • Quarto livello: comunità in sui si è verificato l’evento
  • Quinto livello: chi potrebbe sviluppare un disturbo psicologico a breve o lungo termine
  • Sesto livello: chi avrebbe potuto essere di primo livello o si sente coinvolto per motivi indiretti

In quale livello ti trovi?

Ebbene, in questo momento storico potresti essere una persona contagiata dal coronavirus (primo e quinto livello di coinvolgimento); un familiare di una persona contagiata o deceduta (secondo, quarto, quinto, sesto livello); un operatore (terzo e sesto livello)…

Oppure potresti essere un operatore sanitario che, oltre alle esperienze professionali, nella sua esperienza personale sta vivendo il contagio o la perdita di un familiare. I quel caso i tuoi livelli di coinvolgimento si intrecciano e ti trovi nel secondo, nel terzo, quarto, quinto e sesto… Se, ad esempio, hai anche assistito alla morte di una persona che stavi curando, ti trovi anche nel primo livello. Noti da te la complessità…

… e, appunto, la ferita vicaria…

Anche il contatto con la persona traumatizzata può investire il soccorritore o la persona cara dello stesso trauma in modo indiretto. In questi giorni, il racconto del trauma, lo shock, il dolore, il disorientamento arrivano all’interlocutore (operatore sanitario e non) che manifesta, in seguito, reazioni al trauma simili alla persona coinvolta. Questo è il trauma vicario, contagioso, in pratica. Un trauma in cui la persona che ascolta la storia del trauma in alcuni momenti può addirittura fare da sostituto dell’altro nella percezione del dolore e del disorientamento.

A cosa ti servono queste informazioni?

  • A dare un senso a come ti senti
  • A riconoscere che potresti aver vissuto diversi livelli di coinvolgimento
  • A prendere in considerazione che potresti aver vissuto un trauma vicario
  • A prenderti cura di tutto questo, se lo ritieni, con uno psicologo…

E se sei uno psicologo?

Lo sai già che un aiuto in questo momento, anche sotto forma di supervisione, può fare magie. Ricordatene perché mentre segui le storie dolorose di questi giorni e, magari, ne hai di tue personali, il carico potrebbe essere davvero troppo.

Rimettere a posto l’uomo e ricomporre il mondo è un pensiero che sta passando per la testa a più persone. Lo vedo dai post nei social che raccontano del dopo e si commuovono nel vedere i delfini nei porti e le lepri in città. Anche io ho partecipato con una storiella (che trovi sotto) e aggiungo una riflessione…

La storiella, che è bella e merita

La trovi in questo mio post di Facebook. Se non riesci ad accedere scrivimi e te la invio per mail! 🙂

La riflessione sull’Uomo…

Premessa senza pretese

Ci mettiamo a posto in tanti modi diversi: chi si imbelletta comprando vestiti, creme e oggetti cool; chi si mette a posto economicamente risparmiando o lavorando; chi si rilassa a yoga o meditando; chi si tonifica con lo sport. C’è chi è sempre aggiornato e chi si rimette in sesto con una vacanza. Rimettersi a posto ha a che vedere con l’immagine di sé.

Ancora un attimo e arrivo al punto…

Quello che sta succedendo nel mondo era, fino a qualche settimana fa, di fatto inimmaginabile. Sì, lo so che alcuni avevano azzardato previsioni su virus letali, pandemie e scenari tragici e che vi sono anche libri e film che narrano copioni assonanti, ma, di fatto, tutto questo non è immaginabile.

Ospedali saturi, personale in quarantena o deceduto. Le morti, tragiche per numero e solitudine. I lutti complicati dalla mancanza di un ultimo saluto. L’incredulità. E poi la spesa rispettando le distanze di sicurezza, file di persone con la mascherina, la visita medica tanto attesa ora sospesa perché non è una priorità. Le forze dell’ordine a ogni angolo, un megafono che invita a stare a casa. La gente che protesta, va in ansia, è triste e impotente. Tutti online, pure la scuola. I nonni imparano a usare le videochiamate, i bambini scoprono come si fanno le cose in casa. Tutti si adattano o si ribellano in un gioco di equilibri che ricorda la guerra. Non siamo in guerra, ma sembra e in tanti cercano un nemico nel governo, nel vicino, in casa.

Mi fermo perché ci sono così tanti aspetti e sfaccettature che lascio a te aggiungere ciò che non ho descritto.

Rimettere a posto l’Uomo oggi è complesso perché…

Come ho scritto poco sopra, tutto ciò era inimmaginabile, ossia non aveva un’immagine mentale che lo rappresentasse. Ora sì, ha un’immagine all’interno della quale ci sei tu con i tuoi vissuti ed emozioni, i pensieri e i dubbi, gli adattamenti che hai messo in atto. Come uomo, sei cambiato. Come donna, sei cambiata. Da quando è iniziato tutto questo anche tu non sei come prima.

Per questo potresti non riconoscere te stesso/a e gli altri: l’immagine della vita è cambiata. Rimettersi a posto è complesso perché l’immagine da mettere a posto non è quella di prima, è quella attuale. Rimettere a posto l’uomo, singolarmente e collettivamente, ha a che fare con la nuova immagine, in parte ancora sconosciuta.

Oltre la paura ci sei tu

Oltre la paura di questo momento, lo sconforto o i sensi di colpa per aver contagiato qualcuno; oltre la noia, l’ansia, la rabbia, ci sei tu. Quello nuovo, quella nuova, che conosci solo in parte. La psicologia in questo momento storico ha funzioni diverse, una tra le quali è aiutarti a rimettere a posto l’immagine, per riprendere a vivere (V grande) quando si potrà.

Quindi buoni i supporti psicologici una tantum per la regolazione delle emozioni, il defusing, per decomprimere; essenziali i percorsi di sostegno in questi lutti complessi; importanti i numeri gratuiti per chi vive episodi di violenza casalinga. Necessari già oggi e ancora più tra qualche tempo, spazi dedicati alla ricostruzione personale.

Saranno passati 4 anni, ormai. Ho partecipato a un corso di formazione piuttosto impegnativo dal punto di vista emotivo, che mi ha insegnato come si rimarginano le ferite psicologiche. Eccone una condivisione spicciola, che, mi premuro di ricordare, non sostituisce in alcun modo una consulenza psicologica.

Gerarchia emotiva

I metodo fa riferimento alla Teoria Polivagale di Porges. So che se desideri rimarginare una ferita psicologica te ne infischi delle teorie e vuoi la pratica, ma mi è parso doveroso darti un riferimento. Ora, secondo questa teoria assai complessa, il modo in cui le emozioni vengono elaborate segue una gerarchia. In pole position troviamo le emozioni di sorpresa, sconcerto e shock.

In effetti, quando si vive un’esperienza emotivamente impattante, puoi notare che la prima emozione che si identifica è una sorta di blocco, di qualche millisecondo. Questo blocco, che ha lo scopo evolutivo di evitare il contatto con “quella cosa assurda che sta accadendo”, dura pochissimo e poi si trasforma in un’altra emozione. Ad esempio paura, rabbia, ansia, gioia…

La traccia emotiva

La ferita psicologica contiene la traccia di tutte le emozioni elaborate durante l’evento traumatico o, comunque, durante l’evento che ha causato la ferita. Quindi, quando si desidera rimarginare la ferita, è molto utile avere chiaro che le emozioni finali riportate – spesso la tristezza, il senso di impotenza oppure ansia e paura o angoscia e senso di colpa – non sono le uniche da considerare.

Un esempio di ferite psicologiche

Si immagini una persona che ha fatto un incidente d’auto causato da una manovra azzardata, causando dei danni alla macchina di un amico che gliela aveva prestata e all’amico stesso, passeggero, che per qualche settimana ha portato il collare.

Questa persona potrebbe rivolgersi a uno psicologo perché prova senso di colpa per l’incidente causato e non riesce a rimettersi alla guida per il timore di ripetere l’esperienza. La ferita psicologica può essere rimarginata – secondo questo metodo – partendo dall’emozione di sconcerto che ha anticipato la paura di stare andando fuori strada. Le emozioni seguenti potrebbero essere di ansia rispetto all’incolumità dell’amico, rabbia verso di sé, vissuti di colpa e, ancora, un mix di ansia e emozioni di impotenza immaginandosi di tornare alla guida. Considera che, in tutto questo, ci sarà anche il sollievo nel sentirsi vivi e vedere vivo l’amico.

La ferita psicologica è composta da tutto questo e qualcosa in più, se consideriamo, al di là dell’episodio specifico, i vissuti della persona legati alla sua storia.

Come si rimarginano le ferite psicologiche?

La psicologia offre tanti modi diversi per rimarginare la ferita, tra cui l’esplorazione dei vissuti resta, a mio avviso, la più solida o una delle più solide. Sono utilizzati anche metodi che sfruttano i movimenti oculari anche se non sono sempre attuabili. Allo stesso modo, anche l’ipnosi clinica può avere ottime applicazioni. Secondo il metodo che sfrutta la gerarchia emotiva, ogni livello emotivo va elaborato integrando pensiero e sensazione fisica.

A partire dalle emozioni di sconcerto, shock, rabbia, attraverso una procedura standard, ripetitiva, ci si prende cura della ferita psicologica.

Un esercizio easy che puoi provare per iniziare

La prossima volta che provi un’emozione che vorresti alleggerire, prova questo esercizio.

  • Dai un nome a ciò che provi, oppure ascolta dove si manifesta nel tuo corpo e scegline il livello di intensità, da 1 a 10.
  • Dì a voce alta – suggerito – o tra te, ciò che stai provando. Ad esempio: provo rabbia, provo ansia, sento un peso allo stomaco, mi premono le tempie…
  • Guardati le mani e muovile un poco…
  • Ripeti…
  • Cosa succede? L’emozione cambia? Si trasforma in un’altra? Diminuisce di intensità?

Questo esercizio è un assaggio piccino picciò che non può, lo sai già, darti sollievo in caso di ferite psicologiche. Per quelle, consulta uno psicologo e concediti il suo aiuto.

Da un po’ rifletto su questo articolo. La ragione è che non ci sono parole per raccontare l’esperienza di una diagnosi infausta. O, per lo meno, non le conosco. Conosco il silenzio, lo sguardo, il tocco lieve e l’abbraccioMa non conosco parole.

Tuttavia, se non esistono parole, provo a inventarle. Poche, quelle che usciranno.

Vivere con la morte 

L’esperienza di una diagnosi infausta ti ricorda che, mentre vivi, porti con te la chiusuradella vita e ti informa che sta arrivando il momento di fare i conti con la morte. Credimi, mentre scrivo queste parole, i visceri si contorcono per la paura, lo struggimento, le emozioni che accompagnano la morte di sé e delle persone care. Vorrei fermarmi e non scrivere più: perché dedicare un articolo alla morte, alla malattia? Perché fanno parte della vita e il mio lavoro è prendere atto del ciclo di vita e delle esperienze che, nell’arco della vita, le persone possono fare. Nessuna esclusa.

Cosa succede dopo una diagnosi infausta?

Nessuno lo sa. Nessuno lo sa per davvero. Dolore, tristezza, rabbia, accettazione, ansia, paura, sensi di colpa e, ancora, angoscia, voglia di vivere, amore, disperazione, senso di impotenza, tenerezza. Mentre leggi, avrai pensato a qualche altra emozione, ne sono certa. Perché sono tante e differenziate al punto che, quando si parla di lutto, si parla di un labirinto emotivo.

Lutto? In che senso?

In psicologia, il lutto è una perdita. Ogni perdita può portare con sé reazioni e sentimenti di lutto e, quando si riceve una diagnosi infausta, si perdono tante cose: la salute, l’illusione di “invincibilità”, la speranza, le prospettive per il futuro. Inoltre, la certezza di una morte prossima, origina un lutto anticipatorio per la perdita della vita che coinvolge chi ha ricevuto la diagnosi, familiari e amici.

Ogni istante

Vorresti vivere ogni istante e godere dei pezzetti di vita che la diagnosi infausta ti lascia. Istanti che rubi a terapie, pianti e momenti di sconforto e che vuoi costellino ciò che resta della tua vita. Di nuovo, mentre scrivo, mi paiono parole, solo parole. Non mi bastano e immagino che possano non bastare neanche a te. Per favore, immaginale come un abbraccio o uno sguardo presente. 

Tre cose che puoi fare in questi istanti

  • Gioco e divertimento: fai cose che ti piacciono, con le persone che ti piacciono. Ridi, se puoi.
  • Onorare la tua vita: condividi ricordi, guarda e scatta fotografie, incontra chi ami.
  • Lasciare qualcosa di te a chi vuoi tu: un oggetto, uno scritto, una canzone, un abbraccio…

Resta, in questo istante.

Condivido con te il titolo di un libro che racconta una storia di diagnosi infausta se vorrai leggerlo o ascoltarlo: Semplicemente perfetto, di Jostein Gaarder. 

Cari Pensieri, Francesca

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