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In questo periodo storico le preoccupazioni sono tante e una delle questioni che mi trovo a vivere, sia da professionista sia da donna, è come non soccombervi. In questo articolo vi rifletto in termini immaginativi e gestaltici: è necessario che anche le preoccupazioni abbiano uno spazio senza essere negate.

Scrivo di telelavoro anche se lo stesso articolo ben si adatta allo smartworking. In entrambi i casi ciò che fa la differenza è la capacità di costruire connessioni sicure… dal punto di vista emotivo! La questione è la seguente…

Stiamo vivendo un tempo scandito dalla pandemia e dai suoi fenomeni correlati: è un ritmo che ha velocità non lineare (difficile da cogliere per un essere umano) come la crescita delle ninfee di Jaquard e una lentezza inusuale. E, sì, anche questo è uno degli aspetti per cui questi mesi sono così difficili da accettare.

L’ansia da mascherina è un nuovo modo in cui la nostra ansia benedetta si fa sentire. Ecco un articolo che per una metà si fa scherzoso e per la seconda metà niente affatto. In questi giorni hai indossato la mascherina? Avrai notato un paio di cosette…

Uscendo con la mascherina…

Un classicone: l’occhiale appannato

Uscendo con la mascherina succedono cose… Una tra queste è il classicone che circola nei social da settimane: l’occhiale appannato, sia esso da vista o da sole. Chi indossa gli occhiali, fa giochi di prestigio per riuscire a posizionare la mascherina per minimizzare l’appannamento, quella nebbiolina fastidiosa che per lo più si era soliti esperire entrando nel caldo rifugio montano d’inverno mentre fuori fa così freddo che crocchiano le dita dei piedi.

Oggi, l’occhiale appannato resta anche nei mesi caldi irritando o agitando i suoi indossatori. Scherzandoci su, potremmo parlare di frustrazione da occhiale appannato, ma il turbamento sociale rispetto a questo mi sembra relativo quindi passo ad altro.

Un altro classicone: singing in the… mask!

Come sotto la doccia, la mascherina offre l’illusione di riservatezza e, facci caso, la gente canticchia sotto la mascherina. Un poco forse si fa compagnia, un poco si sente libera. Mi piace un mondo!

Oltre al fatto che la mascherina consente di non avere per forza un’espressione gioviale o acuta, e questo è un altro aspetto da considerare. Entrambi questi temi non mi sembrano suscitare particolari reazioni sociali, quindi passo di nuovo oltre.

Si parla meno

Ecco, qui entriamo in un argomento che fa sorridere a metà. Sì, sono d’accordo che un po’ di silenzio ci voleva e che non avere il continuo cicaleccio di alcuni e alcune abbia un che di sollevante, tuttavia…

Tuttavia ho notato che le persone rinunciano alla conversazione perché la mascherina la rende più faticosa. Si dicono alcune frasi, si argomenta parzialmente e poi, se non si toglie la mascherina dal naso, non si riesce a proseguire oltre. In particolare se la conversazione sta emozionando.

Dato che è bene evitare di togliere la mascherina dal naso, ne consegue che la conversazione dopo un po’ langue. Il problema non sono i contenuti, ma l’energia che la persona sente di spendere nella conversazione con indosso la mascherina e che la fa rinunciare. Ho assistito a una discussione in cui ho notato il senso di impotenza delle due persone che non riuscivano a chiarirsi proprio per questa fatica.

Manca il respiro

Chi passeggia un poco più speditamente, nota che dopo un po’ manca il fiato. Il processo è chiaro: si tende a inspirare aria calda, riscaldata dal processo di espirazione e i polmoni sembrano non essere liberi di fare bene il loro lavoro.

Data l’assonanza di questa fatica a respirare con le orribili storie che ci ha raccontato chi è sopravvissuto al covid-19, alcune persone riferiscono di aver avuto momenti di panico e di aver pianto per la paura o anche per lo lo straziante pensiero di chi non ce l’ha fatta, soffocato dal virus.

Anche chi non fa questi pensieri o non vive queste emozioni, sperimenta lo sforzo richiesto alla respirazione e, appena possibile (nel rispetto delle norme di sicurezza), abbassa la mascherina.

Gli altri sono tutti mascherati

Per alcune persone, non poter vedere per intero il volto degli altri è minaccioso. In linea generale lo è per tutti, perché implica una perdita di controllo dell’ambiente e, in alcuni, la sensazione di perdita di controllo si accentua fino a farli sentire in pericolo.

Se stai provando qualcosa di simile, è probabile che tu preferisca tornare in casa il prima possibile o che scelga posti molto isolati. Luoghi con altre persone diventano già di per sé stimolanti e al contempo poco controllabili e con la mascherina il tutto peggiora.

Ecco, quindi, l’ansia da mascherina…

Una conseguenza di tutto questo è la possibilità che si sviluppino episodi di ansia che paiono senza motivo e, invece, hanno spiegazioni chiare.

L’ansia da mascherina, quindi, può essere causata da diversi fattori:

  • Una fisiologica mancanza di aria che il cervello registra come un segnale d’allarme dato che la respirazione è necessaria per la sopravvivenza. L’allarme si traduce in ansia.
  • La preoccupazione rispetto alla malattia e l’angoscia per chi la ha vissuta.
  • La mancanza di controllo dell’ambiente non potendo vedere i volti degli altri.
  • Il senso di impotenza legato alla fatica di sostenere una conversazione.

Va aggiunto l’effetto di disorientamento che la novità di questa vita diversa ci sta proponendo. Anche il disorientamento sta nella famiglia della mancanza di controllo e può stimolare ansia.

Il mio servizio è senza mascherina!

A fronte di tutto questo, sono particolarmente contenta di poterti offrire le consulenze in videochiamata o telefoniche. Niente ansia e niente senso di impotenza aggiuntivi, nei nostri colloqui! Solo la bellezza di poterti raccontare in modo libero, anche dai dispositivi.

Questo articolo racconta di energie mentali e paesaggio. Un paesaggio naturale è paesaggio terapeutico quando rispetta il livello di energia personale e coinvolge al punto giusto. Ce lo disse nel 1991 Patrick Grahn.

Energie su più livelli

Il prof. Grahn elaborò un modello presso l’università svedese che mette in relazione lo stato delle energie mentali di una persona e la sua capacità di interagire con l’ambiente. Scelse di definire quattro livelli rappresentati graficamente con una piramide:

Il modello di Grahn chiarisce un aspetto importante: un paesaggio è terapeutico se si adatta alle tue energie mentali. Il paesaggio può cambiare in base alla tua situazione energetica attuale e conoscere quale tipo di ambiente è più adatto a te ti permette di rigenerarti e recuperare al meglio le tue energie.

Ti servirà valutare la vicinanza e la raggiungibilità del luogo, il livello di coinvolgimento emotivo, l’estensione dello spazio e il grado di diversità rispetto al tuo ambiente consueto.

Livello uno

Il livello più basso, quello con la base larga, coinvolge persone con poche energie mentali a causa di stress, malattia, sofferenza… Chi si trova in questa parte della piramide necessita di spazi in cui rilassarsi. Il paesaggio terapeutico ideale ha ampio spazio individuale a disposizione, ambienti dalla struttura semplice che permettano attività poco impegnative (camminare, sedersi), senza fonti di disturbo, consente un coinvolgimento emotivo morbido e non intenso, interiore.

Livello due

Il livello successivo implica maggiore energia mentale. Potresti trovarti in questa fascia se senti di riuscire a dare ordine ai tuoi pensieri e alle tue emozioni, ma che non sei disponibile ad accogliere nuove idee, spunti, riflessioni da parte di altri. Il paesaggio terapeutico può avere uno spazio individuale meno ampio rispetto al primo livello, possono rientrare nello spazio di osservazione altre persone, c’è spazio per la curiosità in termini osservativi (ad esempio osservare piante, panorama…).

Livello tre

Se ti trovi in questa fascia hai recuperato le energie mentali e puoi partecipare emotivamente all’ambiente. Il paesaggio terapeutico è condiviso con altre persone di simile energia mentale, si intrattengono conversazioni, aumenta la curiosità di esplorare e la disponibilità al contatti con piante e animali.

Livello 4

Chi si trova nella sommità della piramide partecipa attivamente nell’ambiente. Il paesaggio terapeutico necessita di una minima quota di spazio individuale che è condiviso con altri in attività impegnative a livello fisico, coinvolgimento emotivo intenso.

Come trovare il tuo paesaggio terapeutico

Sulla base delle indicazioni appena lette, puoi scegliere inizialmente immagini e poi luoghi fisici naturali che ti permettano di rigenerarti dopo il lockdown e oltre.

A partire dalla piante sul terrazzo di casa puoi via via spostarti in zone in cui rilassarti, passeggiare – se possibile sdraiarti su un prato o sederti su una panchina – . Potrai prima scegliere spazi poco visitati in cui prediligere il contatto con te, con i tuoi pensieri ed emozioni e in cui usare poche energie. Mano a mano che le energie aumentano il tuo paesaggio terapeutico può cambiare: puoi recarti in un posto in cui altre persone fanno attività in cui puoi, tuttavia, mantenere il tuo spazio e la tua riservatezza emotiva; poi potrai interagire e condividere e infine, se vorrai, dedicarti ad attività ad alto coinvolgimento relazionale, fisico ed emotivo.

Scalare la piramide è obbligatorio?

Non è necessario scalare tutti i livelli della piramide o, per lo meno, non è necessario che il livello di coinvolgimento relazione, fisico ed emotivo sia intenso. Vi sono differenze individuali legate al temperamento, al tipo di lavoro, alle influenze culturali che guidano alla scelta del proprio paesaggio terapeutico indipendentemente dal livello di energie.

Al contrario, è necessario che se il tuo livello di energie è basso tu non pretenda di frequentare luoghi affollati o ad alta intensità emotiva e che non chieda a te stesso/a attività che richiedono tanta energia.

Non ha senso la pretesa di agire quando hai energia per osservare.

Rischio depressione. In queste settimane quante volte ti è capitato di leggere articoli che ti mettono in guardia rispetto allo sviluppo di psicopatologie? Quanti fanno previsioni nefaste sulla tua salute psicologica?

Allarmismi nella situazione di allarme

Ciò che ha attratto la mia attenzione, in questi articoli, è l’allarmismo. In pratica, chi li scrive sostiene che gli inviti a stare a casa, le norme di sicurezza, le chiusure e riaperture graduali sono azioni che hanno allarmato psicologicamente e che, per questo, le persone svilupperanno depressione, fobie, difficoltà sociali, disturbi d’ansia…

Questo non è allarmismo? Tra l’altro manipolatorio e induttivo? Immagino quante persone, sentendosi più giù del solito, stanche o meno concentrate abbiano subìto gli effetti di questo tipo di allarme subdolo, mascherato da protezionismo.

Sindrome di Sibilla Cooman

Un mio collega, Simone Pesci, qualche giorno fa mi ha fatta sorridere con un post in cui citava la sindrome di Sibilla Cooman. Sibilla Cooman è un personaggio della saga di Harry Potter che fa l’insegnante di Divinazione ossia di preveggenze. Il personaggio è raccontato in modo esilarante perché, di fatto, le previsioni non le sa fare e si atteggia assai.

Il collega, nel nominare questa “sindrome”ironizzava su chi pensa di sapere come andrà dal punto di vista politico, economico, sociale, psicologico. La realtà è che nessuno prevede proprio nulla. Ci possono essere modelli previsionali per alcune discipline, per altre molti meno o per nulla.

E per la psicologia? Sei a rischio depressione?

Non lo so. Penso che questa sia la risposta più onesta che ti posso dare. Senz’altro questo periodo ha mosso emozioni e riflessioni, ci sono stati lutti e traumi di vario coinvolgimento. Ci sono persone che hanno vissuto con fatica questi mesi e si sono viste accentuarsi alcune reazioni allo stress già tipiche dei singoli. Qualcuno si è isolato, qualcuno ha istigato le folle sui social, qualcuno ha avuto episodi d’ansia. Tutto nella norma, direi, considerata la situazione ad alto tasso di sollecitazione psicologica.

Tuttavia, da qui a dire che siamo a rischio psicopatologia, che aumenteranno le casistiche di depressione, ecc… ne passa!

Vulnerabilità individuale

Come per ogni tipo di malattia, disturbo, problematica, esistono dei fattori di rischio in parte genetici e in parte ambientali e il contesto specifico può esacerbare – cioè far venire fuori – problematiche latenti. Questo significa che alcune persone potrebbero manifestare sintomi riconducibili a psicopatologie, non tutti e non necessariamente. Anche il rischio depressione segue regole identiche.

Altri possono avere sintomi transitori che è bene monitorare, ma essi non indicano che la persona stia manifestando una patologia!

Le reazioni emotive sono legittime

Se in questi giorni hai vissuto un calo del tono dell’umore, ad esempio, non sei depresso/a: stai reagendo a una situazione complessa con un calo del tono dell’umore e , magari, tristezza. Se ti viene l’ansia mentre vai a fare la spesa e vedi tutti con la mascherina, non stai manifestando un disturbo d’ansia: stai reagendo con ansia a una situazione nuova e fuori dal tuo controllo.

La tristezza non è depressione, la paura non è fobia, il rispetto delle norme igieniche non è un disturbo ossessivo compulsivo.

Quindi, basta!

Il motivo di questo articolo, scocciato nei toni e schietto nelle intenzioni è invitare a smettere di paventare patologie ipotetiche e spaventare chi, con il cuore che batte forte, si appresta a reinventare la vita. Magari, certo, con qualche temporaneo acciacco emotivo in più che piano piano migliorerà. Se ci sarà bisogno di un aiuto, la psicologia c’è e io con lei.

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