Ho scovato una poesia che racconta le psicologie non-strutturaliste. Vi accompagno nella sua lettura.
Category: Psicologia Centrata sulla Soluzione
In questo articolo prendo in prestito conoscenze acquisite durante la scuola superiore che ho avuto la fortuna di re-incontrare, in modo divertente e accattivante, durante la lettura di un libro di Andrea Marcolongo (La lingua Geniale. 9 ragioni per amare il greco. Ed. Laterza).
Vado ad attingere al bacino della grammatica greca e, nello specifico, ad un modo verbale (i modi verbali sono, ad esempio, l’indicativo, il congiuntivo, il condizionale…). Il modo verbale del greco antico che ci serve per questo articolo è l’Ottativo.
Promesso, non si parla di grammatica,
ma di desideri da realizzare e obiettivi da raggiungere!
Il Grado di Realizzabilità di un desiderio
In greco antico si usavano i verbi per indicare quanto fosse realistico un progetto o realizzabile un obiettivo. Meglio, non quanto fosse realistico il progetto a priori, ma quanto lo fosse per la persona che ne parlava.
Il Grado di Realizzabilità era definito dal modo verbale che la persona sceglieva per descrivere un desiderio, un obiettivo, un progetto.
Questo significa che la persona, mentre parlava del desiderio, usava il modo verbale che indicasse quanto la persona stessa lo ritenesse realizzabile.
Ecco gli esempi! 😉
Vediamo i Gradi di Realizzabilità, così come li propone Mastrolongo, usando la frase:
“Vorrei andare per mare!”
Grado di Realtà: la barca è attraccata al molo e sono pronto a salpare. (Modo indicativo in greco antico). La persona che esprime questo desiderio, ne sta mostrando l’attuabilità e la sua volontà di realizzarlo.
Grado di Eventualità: la barca è attraccata al molo e sono pronto a salpare, se il vento fosse favorevole. Aspetto domani. (Modo congiuntivo in greco antico.). La persona che esprime questo desiderio è pronta anche se le condizioni non sono favorevoli. Sceglie di aspettare. Forse partirà, forse rimanderà ancora, per motivi diversi.
Grado di Possibilità: la barca è attraccata al molo, ma non so navigare. Devo imparare, avere coraggio, rischiare. Il vento non è buono, ma lo sarà a breve. La barca è bella sul molo, ma è fatta per navigare. (Modo ottativo in greco antico.). La persona che esprime questo desiderio sa di aver bisogno di preparazione e coraggio per salpare. Sa anche aspettare il momento propizio; non rimanda.
Grado di Irrealtà: non ho una barca, soffro il mal di mare e vivo in montagna. Non ho alcuna volontà di cambiare le cose, non c’è nulla che io possa fare. (Modo indicativo in greco antico.). La persona che esprime questo desiderio potrebbe aver constatato un’impossibilità assoluta di realizzare l’obiettivo; potrebbe, anche, considerare impossibile il suo obiettivo perché non è disposta ad investirvi tempo e energie.
Esercizio
1) Pensa ad una cosa che desideri ottenere, un obiettivo che vorresti raggiungere, un progetto da realizzare;
2) Pronuncia a voce alta o scrivi una frase che inizi con “Vorrei”;
Ad esempio: vorrei cambiare città, vorrei ricominciare a studiare, vorrei un altro lavoro, vorrei migliorare le mie relazioni…
3) Concentrati sulle sensazioni, i pensieri e le emozioni che ti attraversano mentre pronunci o scrivi la frase: a quale grado di Realizzabilità appartengono, secondo te? Ti stanno comunicando che ritieni il tuo desiderio (obiettivo o progetto) qualcosa di reale, eventuale, possibile, irreale?
Ot-ta-ti-vo: rendi il tuo desiderio possibile
Se ci tieni, se vuoi che il tuo desiderio sia possibile, puoi “esprimerlo in ottativo”.
Esprimere il tuo desiderio in ottativo significa che puoi allenarti, imparare, avere coraggio, rischiare; significa che sai attendere il momento propizio, ma non rimandi perché sai che la barca è bella, sul molo, ma è fatta per navigare.
Dott.ssa Francesca Fontanella
C’è ‘Perché’ e ‘Perché’! In un articolo precedente descrivo i 4 tipi di ‘Perché’ identificati da Tinbergen e mi soffermo su uno specifico ‘Perché’, quello che abbiamo chiamato intenzione positiva (termine suggerito da R. Dilts).
Perché faccio così?
Quando una persona agisce un comportamento che la sorprende, la sconcerta e che vorrebbe modificare, si chiede: “Perché faccio così?”. E inizia a ricercare le cause negli eventi appena avvenuti, in eventi precedenti, nel proprio stato di salute… ne identifica, spesso, molte, creando connessioni che costruiscono una storia di quel comportamento (Per saperne di più sulle conessioni che creano storie e sulle connessioni alternative: K????? ( Kairós ) – Tecniche di auto-aiuto per trasformare le esperienze in qualcosa di speciale).
Un esempio: ho litigato con te perché…
Ad esempio, dopo aver litigato, è possibile ricercare le cause nel comportamento dell’altro, in qualcosa che è avvenuto al lavoro, nella stanchezza, in quel mal di testa che ci portiamo dietro dal mattino, nel modo in cui siamo cresciuti… Ognuna di queste ragioni, potenzialmente, contribuisce al litigio e, al contempo, nessuna sembra significativa. Non si riesce a identificare La Causa.
‘Perché-Causa’ e ‘Perché-Fine’
Trovare l’intenzione positiva significa ricercare lo scopo – o gli scopi – anziché occuparsi delle cause. Questo non significa che le cause non abbiano la loro importanza e che non possa essere di utilità e di interesse dedicare un po’ di spazio anche alle riflessioni che le riguardano. Tuttavia, se si desidera provare sollievo dalle sensazioni ed emozioni spiacevoli legate al proprio comportamento, si può, in prima battuta, cercarne lo scopo.
Cosa mi permette di ottenere questo comportamento?
Ogni comportamento, ogni emozione, si manifestano perché ‘vogliono‘ qualcosa. Come Sherlock Holmes, il tuo compito è identificare cosa vogliano i tuoi comportamenti e le tue emozioni. La rabbia, ad esempio, che potresti provare durante un litigio, ha il suo ‘Perché-Fine’: vuole che tu protegga il tuo valore personale e le cose in cui credi.
Stesso scopo, nuovo comportamento
Spostando la riflessione dalla causa allo scopo, ti concedi di fare chiarezza sui vantaggi o sugli obiettivi che il tuo organismo desiderava ottenere con quel comportamento. Da qui la riflessione può spostarsi su tutti gli altri modi che hai per ottenere lo stesso vantaggio ed obiettivo attraverso un comportamento che ti piace di più.
Ti piacerebbe esplorare e investigare i tuoi ‘Perché-Fine’ in modo efficace e divertente? Puoi provare il Pacchetto Curiosità oppure il Pacchetto Esplorazione! – Anche Online –
Dott.ssa Francesca Fontanella
Il Mullah Nasrudin, un giorno, si trovò a colazione con un uomo che gli disse: “Dimmi, come mai una fetta di pane imburrata, se cade, cade sempre sul lato imburrato?
Nasrudin, dopo aver ascoltato la domanda, prese una fetta di pane e ne imburrò un lato, poi la lanciò in aria ed essa cadde sul lato non imburrato.
Rispose:”La tua teoria non funziona. Il pane è caduto dal lato non imburrato.”
“Oh no, ti sbagli”, ribatté l’altro, “Hai imburrato il lato sbagliato!”
Questa storiella mostra la resistenza delle proprie credenze. Se una fetta cade sempre sul lato imburrato, nel caso in cui questo non accadesse, si tratta di un errore. Di un’eccezione. Che, si dice, confermi la regola.
Eppure, se un’eccezione c’è, essa merita attenzione. Può dare informazioni importanti sulle ragioni per cui l’eccezione si verifica.
La Pratica Narrativa e l’ Approccio Centrato sulla Soluzione considerano le eccezioni un elemento importante per creare storie e soluzioni alternative quando si vivono situazioni di difficoltà e di disagio.
Perché?
Facciamo un esempio.
Immaginiamo che una persona riferisca di provare ansia e preoccupazione quando si trova in mezzo ad altre persone. Questa esperienza si è verificata così tante volte da esser divenuta una regola, una credenza che la persona ha di se stessa.
Una domanda che ella può porsi e la seguente: questo fatto accade proprio in tutte le occasioni? (Oppure è capitato che, una volta, abbia provato un po’ meno ansia e un po’ meno preoccupazione? Se sì, quando?)
Di norma le persone identificano occasioni in cui le cose sono andate meglio, ma le considerano eccezioni che non meritano attenzione.
Se, invece, esse accettano di fermarsi ad osservare l’eccezione, possono avere piacevoli sorprese.
Tornando alla persona del nostro esempio, ella potrebbe riconoscere che, in un’occasione, le cose sono andate meglio per la presenza di un amico, grazie al luogo in cui si era trovata in quel momento o al tipo di attività svolta…
Il passaggio successivo
La persona può farsi ancora alcune domande:
Cosa succederebbe se le condizioni dell’eccezione di verificassero nuovamente? L’ansia e la preoccupazione diminuirebbero?
È possibile replicare queste condizioni? (Se sì, come farlo? Se no, cos’altro potrebbe permettere di ottenere un effetto simile?)
Lo ammetto, da soli può non essere facile porsi le domande, darsi le risposte e coglierne gli elementi utili… ma, d’altro canto, lo psicologo che ci sta a fare? 😉
Dott.ssa Francesca Fontanella
Quante volte al giorno vi capita di dire e sentire la parola ‘devo‘ e i suoi derivati?
- “Devo fare la spesa”
- “Devi passare in libreria!”
- “Ho il dovere io di occuparmi di questa cosa”
- “Non dovrei mangiare così tanto”
- “Lei /lui non dovrebbe essere così critica/0”
- …
Queste frasi sembrano innocue, vero?
Eppure, provate a rileggerle con attenzione per alcune volte.
Dopo poco, è possibile che iniziate a sentire un senso di inquietudine e, persino, di oppressione e di ansia. Il verbo ‘dovere‘ – e derivati – evoca la sensazione di costrizione, di obbligo, talora l’anticipazione di conseguenze negative nel caso in cui non si riuscisse a svolgere il compito.
Questo è quello che accade anche nel quotidiano quando si riceve o si pronuncia una frase che contenga il ‘dovere’.
Badate bene, non vi sto istigando all’anarchia! 🙂
Vorrei, invece, portare la vostra attenzione su un curioso fenomeno: gran parte delle cose che pensiamo di dover fare (o che debbano essere fatte)… è preferibile che siano fatte.
Se andate ad esplorare da vicino le frasi precedenti, vi accorgerete che si tratta di attività che sarebbe preferibile fare, che potete fare o che vorreste fare.
Facciamo un esperimento!
Proviamo a sostituire il verbo ‘dovere‘ con il verbo ‘volere‘, il verbo ‘potere‘, oppure con l’espressione ‘è preferibile che‘.
- “Vorrei fare la spesa”
- “Puoi passare in libreria?”
- “Voglio occuparmi io di questa cosa”
- “Non vorrei mangiare così tanto”
- “Sarebbe preferibile che lei /lui non fosse così critica/0″
- …
Ora rileggete le frasi… il cambio di verbo, che effetto fa?
Questo semplice stratagemma linguistico si è rivelato uno strumento da affiancare ai colloqui psicologici per combattere l’ansia legata a convinzioni chiamate ‘doverizzazioni‘. Le doverizzazioni sono una forma di pensiero che porta la persona a ritenere un dovere anche ciò che, a guardare bene, un dovere non è.
Lo stesso tipo di meccanismo linguistico è d’aiuto a chi sta vivendo un periodo di sovraccarico lavorativo o domestico. Usare la sostituzione del verbo ‘dovere’ consente di creare una playlist delle priorità.
Dott.ssa Francesca Fontanella
Questa domanda è una di quelle che pongo alle persone che si rivolgono a me al nostro primo incontro: come capiresti che ne è valsa le pena?
La ragione di questa domanda è che le aspettative che la persona ha rispetto al percorso da fare insieme e al risultato desiderato sono ciò che guida il mio lavoro.
Ogni persona ha una rappresentazione unica di ciò che potrebbe essere il suo benessere psicofisico ed è rispettandola che si può, davvero, raggiungere il risultato.
Amo descrivere il lavoro dello psicologo come un lavoro artigianale.
La mia visione professionale ossia, come lavoro
Lo psicologo è un artigiano di bottega che ascolta la richiesta della persona e sceglie quali strumenti usare per aiutarla a trovare soluzioni. Ogni strumento viene proposto al cliente che assume un ruolo attivo nella costruzione e nella creazione della soluzione. Ogni lavoro è un pezzo unico, perchè unica è la storia personale e unico è l’incontro tra cliente e psicologo.
Potrebbe non sembrare un’osservazione penetrante eppure…ogni lavoro è unico, ogni situazione è unica e nessun percorso somiglia a quello di altri.
Numero di incontri
Accade che le persone mi chiedano se sia possibile quantificare il numero di incontri che serviranno. Non è possibile quantificare, per la ragione appena descritta: il percorso è unico, la richiesta e i risultati attesi sono unici.
Qualcuno raggiunge il risultato atteso in uno o due incontri, qualcun’altro preferisce un accompagamento più lungo, di 5, 10, 20 incontri. Non c’è un limite di tempo.
La durata di un colloquio
È molto importante, per me, dedicare tutto il tempo necessario alla persona. Per questo ogni colloquio dura almeno 60 minuti e può accadere di sforare (nei limiti degli appuntamenti successivi, naturalmente).
Un artigiano non è mai schiavo del tempo perché il suo lavoro, nel tempo, deve durare. (Cit.)
Al termine di ogni percorso, la persona ha in mano strumenti per la gestione di altre questioni di vita, è autonoma.
Tuttavia, come disse Liotti, sebbene il percorso sia terminato, la relazione resta. E, con essa, resta la mia disponibilità a nuovi incontri, anche a distanza di tempo, nel caso si sentisse il desiderio di avere strumenti nuovi o di essere accompagnati in altri momenti di vita.
Appunti
Ad ogni incontro, la persona ha a disposizione i miei appunti, che può portare a casa con sé. Questo permette di leggersi e riconoscere (o non riconoscere) quanto espresso durante il colloquio, consente di facilitare la riflessione autonoma e di vedere la propria narrazione e le sue evoluzioni.
Il primo colloquio
Sulla base della risposta alla domanda ‘come capiresti che ne è valsa la pena?’ si definiscono l’obiettivo principale e gli strumenti utilizzabili. La persona può scegliere e dire la sua, può preferire uno strumento e chiedere di non usarne altri e può concedersi di cambiare idea e scegliere strumenti diversi durante il percorso.
Sebbene il colloquio e le domande abbiano un posto privilegiato, potranno essere regalati piccoli quaderni per scrivere, prestati libri, fotocopiati disegni di arte-terapia e mandala da colorare… potranno essere usate fotografie e immagini, il disegno, la musica e la poesia…si può preferire il rilassamento oppure le immaginazioni guidate…
Un lavoro su misura, una creazione artigianale, un atto co-creativo.
Dott.ssa Francesca Fontanella