Ci siamo salutati a fine luglio con una riflessione sui libri e sulla scelta di letture che facciano bene. Anche io ho scelto le letture di questo mese tenendo conto dei miei movimenti emotivi e ho colto l’occasione per… approfondire un po’ di me. Ecco come è andata.
Category: Momenti di StoryTelling
Come tirarsi su dopo un momento difficile? Questa è una domanda la cui risposta è mica facile! In questo articolo ne do una, attraverso una storia che mi è stata raccontata e che mi ha colpita. Scoprirai a breve perché sono affascinata dalla storia di Gustavo.
Chi è Gustavo?
Gustavo è un asino, un bellissimo asino dal pelo color tortora e un disegno scuro – diciamo caffè – che percorre la sua schiena. Ghiotto di banane e tralci di vite, Gustavo ha passato diverse disavventure nella sua vita e ha persino indossato un apparecchio per la mandibola, pensa te, costruito in modo sapiente e artigianale da un veterinario innamorato degli animali e del suo lavoro.
Una sera Gustavo…
Una sera capita che chi si occupa di mettere gli animali nella stalla non si coordina bene e Gustavo resta fuori dal suo solito rifugio per la notte. Nulla di male se non fosse che Gustavo è parecchio vivace e avventuriero e nell’esplorare i dintorni scivola su un pendio ripido e cade. Spaventato, cerca di rialzarsi, ma la pendenza del terreno non gli permette la manovra per rimettersi in piedi. Gustavo è tutto acciaccato, forse c’è qualcosa di rotto, non riesce ad alzarsi e preme con la testa sul terreno per tentare in ogni modo di riportarsi ritto sulle sue gambe. Nulla da fare. Dopo tentativi su tentativi, Gustavo rinuncia.
Il mattino dopo…
Il mattino seguente, una persona nota Gustavo per terra sul pendio e chiama i soccorsi. Oltre alle ferite per la caduta, l’occhio premuto sul terreno più e più volte per tirarsi su è sanguinante e purulento. Gustavo è stremato, sanguina da più parti e ha diverse ferite. Il veterinario se ne prende cura immediatamente e dopo qualche giorno capisce che c’è bisogno di un aiuto speciale.
Gustavo deve crederci!
Il veterinario nota che Gustavo si sta rimettendo bene e che potrebbe rialzarsi, ma il senso di impotenza sperimentato la notte della caduta con tutti quei tentativi di rimettersi in piedi invano lo rendono passivo. Gustavo pensa di non potersi rialzare e questo basta a non farlo neanche provare.
“Gustavo deve crederci!” osserva a voce alta il veterinario e chiama chi c’è, li intorno, perché lo aiuti a tirarlo in piedi. Insieme, alcune persone sorreggono Gustavo che vacilla, gli viene dato uno zuccherino… si aspetta… non si tratta di sorreggerlo perché lui non sappia sorreggersi da solo, si tratta di permettergli di fare l’esperienza di stare in piedi. Gustavo ci deve credere! Deve sperimentare di nuovo la fiducia di saper stare in piedi. E funziona!
La storia di Gustavo ha un lieto fine
Succede che Gustavo capisce che può stare ritto come prima e, recuperata la fiducia in se stesso, si accorge di essere in equilibrio sulle gambe, anche se un poco acciaccato per la brutta caduta e indebolito dalla faticosa notte e dall’impotenza dei giorni seguenti.
Oggi, se vai a trovare Gustavo, lo trovi curioso ad attendere una carezza e un tralcio di vite da sgranocchiare. E mentre lo guardi, capisci come si fa a tirarsi su.
Come tirarsi su
Potresti pensare che per tirarsi su serva un aiuto e che tu non hai delle persone che ti possano tenere in piedi. L’aiuto conta e una buona rete sociale o l’aiuto di una persona cara sono utili e importanti per rialzarsi, ma… La storia di Gustavo racconta di una pozione magica molto più potente: la fiducia di potersi rialzare.
Per tirarsi su bisogna crederci, bisogna avere fiducia di poterlo fare.
Gustavo aveva la forza e la salute sufficienti per alzarsi, ma la sua mente lo sabotava, ricordandogli tutte le volte che non ci era riuscito. Gustavo non è stato aiutato a tirarsi su perché non sapeva stare in piedi da solo, ma per ricordargli che sa stare in piedi da solo. E questo fa tutta la differenza.
Vale anche per l’essere umano?
Sì, succede anche agli esseri umani! Quando il passato torna alla mente e si ricordano solo i fallimenti, i tentativi mal riusciti, la fatica e gli sforzi vani… In questi casi, come Gustavo, si prova senso di impotenza e si tende alla resa. Anziché credere di potersi rialzare, si resta a terra, inconsapevoli di potersi tirare su.
Come crederci?
Ti può aiutare a crederci la presenza di una o più persone care e il loro supporto nel ricordare momenti di successo, le cose andate bene, le tue caratteristiche positive. Può aiutarti anche tenere un diario delle piccole cose belle quotidiane (ci sono anche delle app per il cellulare pratiche tra cui Presently per Android e Reflectly per iOS).
Per crederci e recuperare fiducia in te, tuttavia, la via più sicura, rapida, efficace e duratura… bè, la sai già se ti trovi in questa pagina… è un supporto psicologico! Pensaci e torna a credere in te, come Gustavo.
Rimettere a posto l’uomo e ricomporre il mondo è un pensiero che sta passando per la testa a più persone. Lo vedo dai post nei social che raccontano del dopo e si commuovono nel vedere i delfini nei porti e le lepri in città. Anche io ho partecipato con una storiella (che trovi sotto) e aggiungo una riflessione…
La storiella, che è bella e merita
La trovi in questo mio post di Facebook. Se non riesci ad accedere scrivimi e te la invio per mail! 🙂
La riflessione sull’Uomo…
Premessa senza pretese
Ci mettiamo a posto in tanti modi diversi: chi si imbelletta comprando vestiti, creme e oggetti cool; chi si mette a posto economicamente risparmiando o lavorando; chi si rilassa a yoga o meditando; chi si tonifica con lo sport. C’è chi è sempre aggiornato e chi si rimette in sesto con una vacanza. Rimettersi a posto ha a che vedere con l’immagine di sé.
Ancora un attimo e arrivo al punto…
Quello che sta succedendo nel mondo era, fino a qualche settimana fa, di fatto inimmaginabile. Sì, lo so che alcuni avevano azzardato previsioni su virus letali, pandemie e scenari tragici e che vi sono anche libri e film che narrano copioni assonanti, ma, di fatto, tutto questo non è immaginabile.
Ospedali saturi, personale in quarantena o deceduto. Le morti, tragiche per numero e solitudine. I lutti complicati dalla mancanza di un ultimo saluto. L’incredulità. E poi la spesa rispettando le distanze di sicurezza, file di persone con la mascherina, la visita medica tanto attesa ora sospesa perché non è una priorità. Le forze dell’ordine a ogni angolo, un megafono che invita a stare a casa. La gente che protesta, va in ansia, è triste e impotente. Tutti online, pure la scuola. I nonni imparano a usare le videochiamate, i bambini scoprono come si fanno le cose in casa. Tutti si adattano o si ribellano in un gioco di equilibri che ricorda la guerra. Non siamo in guerra, ma sembra e in tanti cercano un nemico nel governo, nel vicino, in casa.
Mi fermo perché ci sono così tanti aspetti e sfaccettature che lascio a te aggiungere ciò che non ho descritto.
Rimettere a posto l’Uomo oggi è complesso perché…
Come ho scritto poco sopra, tutto ciò era inimmaginabile, ossia non aveva un’immagine mentale che lo rappresentasse. Ora sì, ha un’immagine all’interno della quale ci sei tu con i tuoi vissuti ed emozioni, i pensieri e i dubbi, gli adattamenti che hai messo in atto. Come uomo, sei cambiato. Come donna, sei cambiata. Da quando è iniziato tutto questo anche tu non sei come prima.
Per questo potresti non riconoscere te stesso/a e gli altri: l’immagine della vita è cambiata. Rimettersi a posto è complesso perché l’immagine da mettere a posto non è quella di prima, è quella attuale. Rimettere a posto l’uomo, singolarmente e collettivamente, ha a che fare con la nuova immagine, in parte ancora sconosciuta.
Oltre la paura ci sei tu
Oltre la paura di questo momento, lo sconforto o i sensi di colpa per aver contagiato qualcuno; oltre la noia, l’ansia, la rabbia, ci sei tu. Quello nuovo, quella nuova, che conosci solo in parte. La psicologia in questo momento storico ha funzioni diverse, una tra le quali è aiutarti a rimettere a posto l’immagine, per riprendere a vivere (V grande) quando si potrà.
Quindi buoni i supporti psicologici una tantum per la regolazione delle emozioni, il defusing, per decomprimere; essenziali i percorsi di sostegno in questi lutti complessi; importanti i numeri gratuiti per chi vive episodi di violenza casalinga. Necessari già oggi e ancora più tra qualche tempo, spazi dedicati alla ricostruzione personale.
Che stranezza scrivere di disturbo borderline! Di solito non scrivo e non parlo spesso di disturbi psicologici. Preferisco lavorare guardando alla salute e al risultato più che al disturbo in sé. Tuttavia…
Una mia cara collega qualche tempo fa…
Una mia cara collega, durante una formazione, raccontò un episodio personale che coinvolgeva un familiare. Disse che al tempo le servì molto avere una diagnosi perché questo le permise di dare un senso al comportamento del familiare. Le era chiaro fin da allora – prima di diventare psicologa – che fosse importante non parcheggiarsi nella diagnosi e non appiccicare in fronte al familiare un’etichetta. L’etichetta, infatti, può creare vissuti di impotenza e rinuncia. Nonostante questo, l’etichetta era un punto di riferimento per capire i comportamenti del familiare e la alleggeriva dal pensare di avere una colpa o non aver fatto abbastanza.
La diagnosi è utile?
Sì, la diagnosi è utile anche se in psicologia la diagnosi non corrisponde sempre a un disturbo. Ci sono alcuni tipi di questioni psicologiche che sono assimilabili a disturbi psichiatrici per i quali una diagnosi è essenziale. La diagnosi serve per coniugare un supporto farmacologico al supporto psicologico.
In altri casi il disturbo, sebbene non nettamente patologico, può avere sfumature che rendono difficile svolgere le attività quotidiane. In queste situazioni è bene per lo psicologo e per la persona avere chiara la situazione clinica per evitare passi falsi.
Diagnosi-Non diagnosi
La psicologia può anche fare diagnosi che io chiamo diagnosi-non diagnosi cioè descrizioni cliniche accurate, ma personalizzate, che non si agganciano a categorie diagnostiche predefinite. Questo tipo di descrizione clinica si ha quando la persona che chiede aiuto non ha una patologia, ma vive una contingente fatica psicologica. Si tratta di situazioni temporanee in cui si possono intrecciare ansia, tristezza, difficoltà relazionali, stress… Oppure disagi sessuali, calo del tono dell’umore, difficoltà decisionali, paura, lutto, rabbia, mancanza di motivazione, noia, confusione… e altro. Gli intrecci di questi aspetti sono pesanti da vivere e necessitano di un supporto e di un percorso psicologico anche se non sono patologici.
Le etichette sono un modo per raccontare il disturbo
Ragionando in termini narrativi, l’etichetta è una storia. Un gruppo di esperti ha scelto delle etichette per raccontare la storia e le caratteristiche di ogni disturbo. All’occhio del professionista l’etichetta contiene tutte le informazioni necessarie per conoscere la “trama” del disturbo.
Ad esempio, disturbo depressivo maggiore, disturbo bipolare, disturbo ossessivo compulsivo e disturbo d’ansia generalizzato sono etichette. Esse propongono al clinico una sintesi del problema della persona e sono un tipo di narrazione del problema.
Ci sono altre narrazioni?
Oh yes! Ci sono tante narrazioni quante sono le persone e forse di più. I nomi tecnici servono tra professionisti o in alcune situazioni in cui la persona ha necessità di conoscere il nome tecnico del suo problema. In tutti gli altri casi, ogni difficoltà psicologica può essere raccontata in modi diversi e personali.
Una narrazione per immagini del disturbo borderline
Il disturbo borderline è un disturbo di personalità che può essere descritto in termini di impulsività e instabilità. La persona con questo disturbo ha frequenti cambiamenti d’umore, volubilità emotiva e comportamentale, ha un mondo interiore in movimento, sempre.
Tralascio volutamente i dettagli più tecnici, tra cui conseguenze e rischi, alcuni gravi, legati a questo disturbo (per i quali puoi chiedermi maggiori informazioni tramite mail). Ti propongo invece, una narrazione meravigliosa di questo disturbo che ho trovato in un libro che narra di tutt’altro.
In questo passaggio ci sono la volubilità e il movimento, i cambiamenti rapidi legati al contesto, alle relazioni e al sentire, le incongruenze. C’è l’eterna adolescenza emotiva e c’è la disillusione della vecchiaia tutto in uno.
E c’è la consapevolezza che tutto questo movimento non è a casaccio, ma sottolinea le “parole” dell’animo border.
Ecco il passaggio in cui ho trovato queste magiche assonanze, tratto da un libro meraviglioso (a mio avviso): Cambiare l’acqua ai fiori, di Valérie Perrin.
Il disturbo borderline è come le mani di Gabriel Prudent.
“Strano” aveva pensato Irène Fayolle, “le mani di quest’uomo non sono invecchiate, si sono rifiutate di crescere, sono mani da giovanotto, da pianista”. Quando Gabriel Prudent si rivolgeva alla giuria, le sue mani si aprivano, quando si rivolgeva al sostituto procuratore si chiudevano, talmente contratte da sembrare rattrappite, come se tornassero alla loro vera età. Quando guardava il presidente si bloccavano, quando osservava il pubblico non riuscivano a stare ferme, come due adolescenti sovreccitate, e quando si rivolgeva all’imputato si giungevano, si rannicchiavano l’una contro l’altra come due gattini alla ricerca di calore. In pochi secondi passavano dalla chiusura alla gioia, dal ritegno alla libertà, poi ripartivano verso una specie di preghiera, di supplica. In realtà le mani non facevano altro che mimare le sue parole.
Forse avevo 8 anni o poco più e non sono nemmeno certa che fosse tempo di castagne. Per lo meno, non ricordo di averne avuto tra le mani un cartoccio. Ricordo, invece, tra le mani il calore di un libro nuovo…
Il cugino Paolo di Roma
Un tipo strano, agli occhi di bambina, goloso e dotto in egual misura. Il cugino Paolo è un uomo misterioso che viene dalla città grande e è solito raggiungere, durante l’estate, i parenti che vivono in montagna. Sale sui monti per trovare la zia Nella, lo zio Nino e i suoi cugini. Tra essi, mia mamma. Il cugino Paolo è per me un cugino di secondo grado – anche se per età somiglia a uno zio – e un giorno mi fece un regalo prezioso.
Una fiera del libro
La memoria si inceppa e, sebbene io abbia l’immagine della saletta in cui trovai il libro, non saprei dire di quale festa o fiera si trattasse. In Agordo, questo lo ricordo. I fatti si svolsero rapidamente: vedo il libro, lo apro, lo trovo nuovo nello stile, mi brillano gli occhi. Mentre esco dalla saletta, il cugino Paolo, attento osservatore, compra per me il libro e me lo porge all’uscita della fiera. Lo ricordo caldo e, in effetti, fu un libro per me illuminante, riscaldante, confortante e potente come il sole. Un libro di favole, ma favole strane, ecco.
Un inusuale cartoccio
Tra le favole contenute nel libro che, per chi mi segue, ho già nominato qua e là (per esempio nell’articolo Alleggerire i pensieri stirando i punti di domanda) c’è quella del Signor Leonardo che un mattino, mentre attende ombroso l’autobus per andare al lavoro, si vede sbucare davanti una bicicletta con il carrettino, una di quelle che usano i venditori di caldarroste. Di caldarroste, tuttavia, nemmeno l’ombra perché il ragazzo del carrettino, bè, vendeva sorrisi. Sì, hai capito bene, sorrisi! In cartoccio.
Il Signor Leonardo compra un cartoccio di sorrisi e…
La giornata del Signor Leonardo è un susseguirsi di sorprese perché quei sorrisi al cartoccio sanno sgattaiolare fuori dalla tasca del cappotto sempre al momento giusto e gli permettono di godere della bella giornata con una passeggiata, di ricordare che quel giorno è il suo compleanno e comprare qualche stuzzichino per i colleghi…Anche in famiglia il Signor Leonardo vive una giornata magica, radiosa, grazie ai sorrisi che saltano fuori al bisogno.
Un altro cartoccio, grazie!
Il giorno seguente il Signor Leonardo compra un altro cartoccio di sorrisi. Ne ha scoperto il calore, il modo in cui essi profumano le sue giornate e migliorano la sua vita e ha scoperto che non può farne a meno.
Tenere in tasca un cartoccio di sorrisi
Sai cosa pensai allora, leggendo questa favola? Che valesse la pena comprarne almeno uno, di questi cartocci, e tenerlo in tasca, tutti i giorni.
Mi era chiaro che il sorriso non bastasse per risolvere i problemi, ma che poteva ammorbidire il modo in cui stavo con me stessa e con gli altri. Ancora oggi penso che il sorriso è un modo per usare gentilezza, anche verso se stessi. Fatti un sorriso, te lo meriti! 🙂
… e anche se ne resta solo uno piccolo piccolo, in fondo al cartoccio, non buttarlo via! Hai un grande tesoro.
Vuoi leggere la storia del Signor Leonardo? La trovi in questo libro!
Ho voglia di condividere con te una vecchia storia, che lessi anni fa. La storia è di Jorge Bucay o, per lo meno, io la ho letta nella sua versione. Goditela, poi condividerò con te la morale che ne trae Bucay e quella che ne traggo io.
La storia della pentola gravida
La pentola
Un pomeriggio, un uomo chiese in prestito al suo vicino una pentola. Il proprietario della pentola non era un tipo generoso, però si sentì in dovere di prestargliela. Dopo quattro giorni la pentola non era ancora stata restituita, per cui il proprietario, con la scusa che ne aveva bisogno, andò dal vicino per farsela restituire. «Guarda caso stavo per venire a casa sua a portargliela… Il parto è stato così difficile!» «Quale parto?» «Il parto della pentola.» «Cosa?» «Ah, non lo sapeva? La pentola era gravida.» «Gravida?» «Sì, e stanotte ha dato alla luce. Ecco perché ho dovuto tenerla a riposo, ma ora si è ripresa.» «Riposo?» «Sì. Un momento per favore.» E, rientrando in casa, tirò fuori una pentola, una piccola brocca e una padella. «Quella non è roba mia. Voglio soltanto la pentola.» «No, no, è roba sua. Sono le figlie della pentola. Se la pentola è sua, sono sue anche le figlie.» L’uomo pensò che il vicino fosse ammattito. «Be’, meglio non contraddirlo» disse fra sé. «Va bene, grazie.» «Di niente. Arrivederci.» E l’uomo se ne tornò a casa con la piccola brocca, la padella e la pentola.
Il cacciavite e la pinza
Quella sera il vicino di casa bussò alla sua porta. «Vicino, mi potrebbe prestare un cacciavite e una pinza?» L’uomo adesso si sentiva più in dovere di prima. «Sì, certo.» Entrò in casa e uscì con la pinza e il cacciavite. Trascorse quasi una settimana e, quando stava pensando di andare a recuperare i suoi attrezzi, il vicino bussò alla porta. «Ah, vicino, lo sapeva?» «Che cosa?» «Il cacciavite e la pinza si sono messi insieme.» «Ma non mi dica!» esclamò l’uomo con gli occhi fuori dalle orbite. «Non lo sapevo.» «Guardi, è stata colpa mia. Li ho lasciati da soli per un momento e lei è rimasta incinta.» «La pinza?» «La pinza! Le ho portato i suoi figli.»
E, aprendo un cestino, gli consegnò alcune viti, dadi e chiodi che, secondo lui, erano stati partoriti dalla pinza. «È matto come un cavallo» pensò l’uomo. Però i chiodi e le viti servivano sempre.
L’anfora d’oro
Passarono due giorni. Il vicino scroccone si presentò di nuovo davanti alla porta. «L’altro giorno» gli disse «quando le ho riportato la pinza, mi sono accorto che lei tiene sul tavolo una bellissima anfora d’oro. Sarebbe così gentile da prestarmela per una sera?» Al proprietario dell’anfora luccicavano gli occhi. «Come no» disse generosamente. Entrò in casa e portò fuori l’anfora. «Grazie, vicino.» «Arrivederci.» «Arrivederci.» Passò quella notte, e anche la seguente, e il padrone dell’anfora non osava andare a casa del vicino per chiedergli di restituirla. Comunque, trascorsa una settimana, non poté resistere all’ansia e andò a reclamare l’anfora dal vicino. «L’anfora?» disse il vicino. «Ah! Non l’ha saputo?» «Che cosa?» «È morta di parto.» «Come sarebbe a dire è morta di parto?» «Sì, l’anfora era gravida e durante il parto è morta.»
«Ehi, ma mi prende in giro? Come fa a essere gravida un’anfora d’oro?» «Senta, vicino. Lei ha accettato la gravidanza e il parto della pentola. Ha accettato anche il matrimonio e la prole del cacciavite e della pinza. Perché adesso non dovrebbe accettare la gravidanza e la morte dell’anfora?»
La morale di Bucay
Bucay suggerisce la seguente morale: si possono fare tutte le scelte e i cambiamenti che si vogliono, ma non si può prenderne solo la parte comoda, bella, facile, gradevole. Perché il cambiamento e la scelta siano pienamente vissuti e portino ai risultati desiderati, serve accettarne anche la parte che costa fatica.
Sono d’accordo…questo messaggio è utile per chi sta crescendo e si trova in una fase di passaggio per diventare adulto, per chi deve fare i conti con un aumento dell’indipendenza e della libertà a pari passo con l’incremento di responsabilità. Questo messaggio è utile anche per chi ha appena fatto una scelta importante e si sta tormentando a causa della parte di fatica implicita nel cambiamento.
Un pezzetto di morale in più
Leggendo questa storia noto anche un altro aspetto che mi pare importante citare: gli effetti di una graduale manipolazione. Il vicino di casa, furbetto, trova il modo di manipolare il protagonista della storia che, alla fine, si trova gabbato. Come ha fatto il vicino? Lavorandoci piano piano, chiedendo disponibilità e accettazione per piccole follie e giocando d’astuzia facendone godere al protagonista i vantaggi. In ultimo, accade che la grande follia diventa una mossa che mette in scacco il protagonista. Lui, in realtà, aveva già odorato la stranezza dei fatti eppure, per comodità, scelto di lasciar correre. Quel lasciar correre per piccole cose, aderendo alle imposizioni dell’altro, lo portano a subire la manipolazione e l’ingiustizia.
Quindi, doppio messaggio!
- Qualsiasi scelta, cambiamento, fase di crescita, porta con se aspetti gradevoli e aspetti che richiedono fatica. Ti spetta accoglierli entrambi.
- Se il comportamento di qualcuno non ti convince, non aderirvi senza porti domande: potresti trovarti a dover accettare, in seguito, qualcosa di ingiusto.
Ti riconosci nel protagonista della storia e vuoi un aiuto?
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