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Questo post inizia con una citazione.

“I sistemi di credenze, per lungo tempo considerati come la rappresentazione di eventi reali, sono ora pensati come storie che gli esseri umani narrano per organizzare e interpretare la loro esperienza. Dunque la patologia è solo una particolare struttura narrativa, e la terapia un intervento su di essa” (Michael White)

Vorrei rileggerla con voi, un pò come si faceva a scuola con i testi di autori letterari, per dare valore alle parole dell’autore e al significato che intendono veicolare.

I “sistemi di credenze” sono quell’insieme di convinzioni, principi, valori, linee guida che ogni persona porta con sé. Essi si sono formati nel tempo, grazie all’interazione con gli altri, all’osservazione degli altri e alle esperienze vissute. Sono mediati dai propri stili cognitivi e percettivi e hanno l’obiettivo di fare ordine e organizzare le esperienze di modo da rendere più semplice l’interpretazione degli eventi.

Con questa premessa, è evidente che il sistema di credenze non è una rappresentazione fedele della realtà ma una ricostruzione, secondo una mappa del tutto personale.

 

Mappa Roger Kirby

Una Mappa personale: quali sono i tuoi sistemi di credenze?                                   Immagine FreeImages.com/Roger Kirby

Ogni storia racchiude in sé un sistema di credenze dominante e ne nasconde molti altri.

Una persona che narri la sua storia ponendosi come qualcuno che ha vissuto fallimenti, rifiuti, fatiche, sta raccontando la propria storia secondo un solo sistema di credenze, dimenticando di poter fare riferimento ad altri sistemi di credenze.

Mi spiego meglio.

La persona ha, effettivamente, vissuto i fallimenti, i rifiuti, le fatiche -ha vissuto esperienze che ha interpretato come fallimenti, rifiuti e fatiche- e questi si sono strutturati in una narrazione.

Il processo attentivo -l’attenzione-, per qualche motivo seleziona questa narrazione come narrazione dominante facendo sì che, ogni volta che la persona pensa alla sua storia o la racconta, solo questa narrazione sia accessibile.

Eppure, osservando la sua storia, ella potrà riconoscervi anche aspetti di successo, di accettazione, di piacere. Potrebbero essere meno frequenti, meno appariscenti o un pò nascosti oppure potrebbero non essere stati considerati meritevoli di importanza. Comunque sia andata, la conseguenza è che la persona, se non è abbastanza allenata ad osservarli, non li nota.

Quì interviene la Pratica Narrativa che si premura di aiutare la persona a scoprire narrazioni alternative a quella dominante.

Imparare a raccontare la propria storia in modi alternativi è lo strumento terapeutico base di questa pratica che non vede nella persona e nella sua richiesta di intervento una patologia o un disturbo, ma particolari strutture narrative.

Recuperando le parole di White:

La patologia è solo una particolare struttura narrativa e, la terapia, un’intervento su di essa.

Dott.ssa Francesca Fontanella

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