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Alessitimia: la storia di Diego e delle emozioni senza nome

L’Alessitimia, la difficoltà a riconoscere le emozioni, può complicare le relazioni personali e professionali.

Se l’Alessitimia è nella tua vita, probabilmente non sai dare un nome alle emozioni che provi, non riesci a identificarne le cause, potresti confondere un’alterazione fisiologica con un’emozione e viceversa.

Una breve premessa

La parola “Alessitimia” ha un’ etimologia utile per comprenderne il significato: a- (assenza), lexos– (di parole), thymos– (per le emozioni). Assenza di parole per le emozioni. Chi conosce l’alessitimia, pur percependo l’attivazione fisiologica tipica di ogni emozione, non sa darle un nome. Questo produce, in primo luogo, disorientamento.

Alcune persone, a seguito del disorientamento percepito, scelgono di ritirarsi dalle relazioni, altre assumono un comportamento di dipendenza dalle persone care.

L’Alessitimia è stata definita da diversi autori e studiata in  relazione ai disturbi della regolazione affettiva e ai disturbi dello spettro autistico (per una rassegna), ma l’alessitimia di cui desidero parlare in questo articolo è quella che ho incontrato nel mio lavoro.

Come si presenta, di solito

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L’Alessitimia si riconosce quando la persona, interrogata su ciò che prova rispetto alla situazione che vive, descrive sintomi fisici, racconta dettagli della situazione, riferisce pensieri.

Interrogata su ciò che prova rispetto ai sintomi fisici, i dettagli della situazione e i pensieri risponde con altri sintomi fisici, dettagli e pensieri.

Si trova in questo modo ad avere un’accurata rappresentazione dei fatti e non di ciò che prova rispetto a essi. Nel quotidiano, la persona può trovarsi a vivere situazioni emotivamente cariche in due modi principali:

  1. Assenza di risposta emotiva, chiusura, blocco…
  2. Eccesso di risposta emotiva: attivazione fisiologica intensa, comportamenti di aggressione (etero o auto-diretta), urla, pianto…

Bada bene: entrambe le reazioni sono tipiche anche di chi sa riconoscere le emozioni, ma nel caso dell’Alessitimia queste reazioni sono l’unica risposta conosciuta. Inoltre, dopo uno scatto di rabbia, ad esempio, l’Alessitimia potrebbe impedire di riconoscere che si sia trattato di rabbia. Chi non ha esperienza di alessitimia, invece, riconosce la rabbia sottostante il suo comportamento.

La capacità di ascoltare il corpo è preservata

La capacità di percepire le sensazioni corporee è preservata e porta chi vive l’alessitimia ad avere attenzione verso le sensazioni corporee senza, tuttavia, sapervi associare un’emozione.

Si può usare questa abilità per costruire rappresentazioni emotive facili da riconoscere e per allenare, un poco alla volta, a vivere le emozioni.

Diego e la “recitazione emotiva”

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Diego, nome di fantasia, chiede un supporto perché la fidanzata ritiene che non sappia emozionarsi. Diego riconosce di non avere dimestichezza con le emozioni e che nella sua famiglia d’origine nessuno è solito manifestare ciò che prova, eccetto una zia, considerata da tutti gli altri componenti familiari “La matta”.

Diego ricorda che da piccolino venne rimproverato “ferocemente” da un familiare per aver comunicato la sua tristezza per la morte di un cucciolo. Da quel momento, a suo avviso, nessuna emozione lo ha più coinvolto. Trascrivo qui la nostra prima conversazione terapeutica e i risultati che ne sono arrivati. Osserva che Diego non riesce a dare un nome a ciò che prova, per lo meno all’inizio della conversazione e che è molto più attento a come sente il suo corpo e ai pensieri che sta facendo.

Cosa provi per quel bambino rimproverato per la sua tristezza, Diego?”

“In che senso?”

“Se pensi a te stesso bambino durante l’episodio che mi hai raccontato, cosa provi per te stesso?”

“Mah, era normale per i miei familiari rimproverarci e alla fine io sono sempre stato piuttosto ubbidiente. Ricordo di aver pensato che forse avevano ragione loro anche se quel povero cucciolo non meritava di  morire.”

“Cosa provi, Diego?”

“Eh, non lo so. Penso che sia peccato avermi rimproverato così. Se ci penso mi si stringe lo stomaco.”

“La sensazione fisica che provi è che ti si stringe lo stomaco e pensi che sia un peccato averti rimproverato. Sapresti anche immaginare una postura corporea adatta a rappresentare quello che provi?”

“Oh… non saprei… che domanda strana! Cioè, mi stai dicendo che dovrei mettermi in una posa che mi ricorda lo stomaco che si stringe?”

“… e il pensiero che sia un peccato averti rimproverato.”

Diego ci pensa un po’ su e poi si siede per terra, rannicchiato, con le ginocchia strette al petto e la testa appoggiata alle ginocchia. Si è messo nell’angolo tra la parete e una poltrona, in uno spazio angusto.

Dice, tenendo la testa sulle ginocchia:”Ecco, così… mi sembra vada bene…”

Come ti senti lì, Diego?”

Stretto… e isolato.”

“Ti piace sentire che stai stretto? E l’isolamento?”

“No… mi fa sentire solo…”

“Bene, secondo te la solitudine a quale emozione può essere associata? Non ti sto dicendo di provare un’emozione, ma di pensare a quale emozione sia più adatta, per te, per accompagnare la solitudine.

“Forse la Paura? non so… sto pensando che uno tutto rannicchiato in un angolo sembra averle appena prese e non aver saputo difendersi…”

“Ottimo, Diego, possiamo soffermarci un poco su questo?”

Diego ha dedicato il restante tempo dell’incontro a riflettere sulla connessione tra la postura assunta, lo stomaco che si stringe e l’emozione di paura e, in seguito, ha utilizzato questa rappresentazione fisica nel suo quotidiano.

Nel lavoro, ad esempio, durante il turno di notte, si è concentrato sulla postura che sentiva di assumere e ha notato che somigliava a quella rannicchiata assunta in studio: questo gli ha permesso di identificare come “paura” l’emozione che stava provando.

Il percorso di “recitazione emotiva“, come lo chiama Diego, sta proseguendo in questa direzione, permettendogli di iniziare a riconoscere le emozioni a partire dalle sensazioni corporee verso le quali è già avvezzo.

Gli effetti positivi non sono tardati. Diego ha saputo riconoscere la tristezza di fronte a un documentario in cui un cucciolo veniva ucciso da un predatore e ha saputo comunicare al suo capo che servono maggiori misure di sicurezza per chi fa il turno di notte. La fidanzata  gli fa da alleata e da testimone di questi cambiamenti e lo aiuta a inventare nuove recitazioni, dettagliate e ricche di sfumature, per impreziosire il suo mondo emotivo.

Come nella storia di Pavel e Wivjiana…

 

Hai un’esperienza simile a quella di Diego?

Raccontala a:  fontanella.francesca@gmail.com

 

 

 

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